lunedì 19 dicembre 2011

Gli obiettivi di crescita

Pausa natalizia (a proposito 
Auguri per un Santo Natale sereno e un anno nuovo che sia finalmente fuori da ogni secca verso un mare navigabile e senza tempeste)


Prossimo post lunedì 9 gennaio 2012





Siamo leader di mercato. Abbiamo sofferto meno dei concorrenti la crisi. Qualche riduzione nelle esportazioni. Adesso con l’euro più debole stanno ripartendo. Del marketing mi occupo personalmente insieme a mio fratello Lorenzo”. 
Tace.

Mi verrebbe da chiedergli: “allora perché hai accettato di vedermi? Per farmi perdere tempo?”. Mi trattengo. 

Se mi ha ricevuto è segno che c’è qualche cosa che non va. Devo scoprirlo. Sono tentato di fargli la domanda esplicita: “che cosa la preoccupa?”. E’ troppo presto. Non ho ancora conquistato la sua fiducia. Meglio prenderla alla larga.

“Quali sono i vostri obiettivi di crescita per il prossimo anno?”. Facciamolo parlare.

Puntiamo a espandere la nostra presenza all’estero, specie in alcune nazioni che al momento non ci soddisfano. E vogliamo rafforzare la nostra immagine. Ci conoscono per una azienda innovativa, elegante. Con una solida tradizione sì, ma aperta alla modernità. Avrà notato il nostro sito. Non è all’altezza. Lavoreremo su questo. Il nostro è un prodotto banale in sé, trovare modalità nuove non è facile. I nostri designer sono i migliori. Non possiamo però basarci solo su questo per innovare”.

“E che cosa pensa di fare? Qual è la sua strategia?”.

Vorrei sfruttare di più il tema ecologico. Si fa un gran parlare dell’acqua come risorse. Noi ci siamo in mezzo. Sto esplorando questo settore. Ho visto all’ultima fiera soluzioni ridicole. Non voglio cadere negli stessi errori di alcuni concorrenti che si vogliono tingere di una patina verde, ma che in realtà non hanno fatto nulla di concreto”.

Interessante. Non ha ancora trovato una soluzione.
“Ha ragione. Molti pensano che basti esporre un cartellone, trovare uno slogan accattivante per aver risolto il problema”.

Esattamente! Vogliamo che si parli di noi come dei primi che hanno affrontato il problema con serietà. I tecnici stanno studiando un sistema di sensori che ad esempio blocchi il flusso delle docce quando sotto non c’è nessuno. Per risparmiare acqua. Potrebbe essere un interessante argomento per gli hotel ad esempio. Che al di là del tema ecologico potrebbero contenere i costi. Siamo in fase di sperimentazione”.

Qui però posso fare poco. Cerchiamo di riportarlo su un terreno a me più congeniale.
“Mi diceva dell’espansione in paesi stranieri. Quali sono le difficoltà che incontra a raggiungere i suoi obiettivi?”.

La distribuzione in alcuni paesi è complessa. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra diffusione  centralizzazione dei depositi. E poi c’è la concorrenza: non solo quella nostra diretta, ma anche quella dei distributori tra di loro. Vede il nostro mercato è complesso: arriviamo al cliente finale attraverso canali molti differenti tra di loro e non sempre è facile quadrare il cerchio”.

“Capisco. Immagino che tre siano i vostri canali principali: le show room, gli installatori e la grande distribuzione del fai-da-te. Beh certo, poi ci sono i costruttori”.

lunedì 12 dicembre 2011

L'agenda interrotta



Prossimo post lunedì 19 dicembre




Arrivai una manciata di minuti prima dell’orario fissato. Per me la puntualità è importante, è un segno di rispetto. 
Attesi in macchina consultando gli ultimi messaggi di posta sull’iPhone. Un sorriso alla centralinista, la solita attesa nel salottino, dove temo sempre ci siano telecamere nascoste per vedere come ti comporti mentre aspetti.

È interessante guardarsi mentre si aspetta, ci sono aziende dove prima di farti accomodare nella sala ricevimento, a volte uno sgabuzzino che millanta questo titolo altisonante, ti tengono seduto nella reception per alcuni minuti. Che fai? Leggi tutti i cartelloni appesi, pensando che tanto arriva subito ed è meglio non farsi vedere stravaccati sul divanetto, alla fine ti rassegni e ti siedi. E ascolti la signorina che risponde al telefono, indirizza, smista, mette in attesa, commenta seccata con la collega. Poi arriva un altro visitatore, e ti mette in ansia: “sarà un concorrente? Chi deve vedere? Qualcuno più in alto? E perché poi? E lo riceveranno prima di me?”. 

Quando qualcuno che arriva dopo di te, viene accolto prima di te, si gira sempre a guardarti con aria di beffa, come per dirti che lui sì che conta, che tu puoi essere chi vuoi, ma non sei importante come lui. E tu ti vendichi immaginando che sia lì per vendere quattro penne e risme di carta, mentre tu, eh tu, sei lì per le strategie, per il successo aziendale. Si deve pure tenersi su in qualche modo. 

E ti fermi a pensare quanta umanità varia ha accolto quel divanetto un po’ sbilenco, ragazzi ansiosi che puntavano al primo lavoro, o cinquantenni che supplicavano dentro di sé per avere una opportunità nuova per le loro famiglie; venditori supponenti e altri in cerca dell’ordine per salvare l’anno e chissà forse anche l’azienda. Clienti di poco conto, che si possono far aspettare senza creare turbamenti agli year to date, e parenti di impiegati passati per un saluto o per comunicazioni urgenti. 

A voler scivolare sotto la superficie ogni situazione, ogni oggetto può parlarti della vita e aiutarti a mettere la tua nella giusta prospettiva.

Immerso in simili pensieri mi ero distratto quando la porta si aprì di scatto e irruppe lui. Solo. Più alto di me. Asciutto. Un bel sorriso. Molto professionale.
Scambiammo convenevoli. Feci una battuta sui suoi trascorsi. Sembrò apprezzare. 
Iniziai a proporre l’agenda. 

Mi interruppe.

lunedì 5 dicembre 2011

L'alba della battaglia di Waterloo


Prossimo post lunedì 12 dicembre



Guardai fuori dalla finestra della cucina mentre sorseggiavo già il terzo caffè. L’erba del prato, che scivolava via verso le autostrade nascoste dietro le torri di colori sgargianti, stava lentamente sbiadendo, annunciando che l’ora legale sarebbe tramontata nel fine settimana. 


L’aria si faceva più fredda. La luce avara. 


Fui sul punto di essere travolto da una serie di pensieri, per lo più aggrottati, che sembravano essere stati scatenati da un accenno timido di commozione, innescato dalla strana combinazione dei colori di fronte a me e del sapore del caffè in bocca. 


Li fuggii nascondendomi nella prima pagina del Corriere che si stiracchiava sul tavolo, dove l’avevo abbandonato poco prima. Concentrandomi per l’ennesima volta sul titolo che strillava di politica riuscii a non farmi scorgere da quella muta di nere preoccupazioni che si persero per strade lontane da me. 


Volevo iniziare la giornata con un sorriso, con una carica, con quella forza che mi avrebbe permesso di tornare lì, in quella medesima cucina, quella stessa sera, a vantare non solo una battaglia vinta, ma anche una svolta decisiva nel corso della guerra, come uno sbarco in Normandia o il dono di un cavallo di legno agli assediati. Volevo che quella sera fosse rossa di speranza, non per il colore del contorno dei miei occhi. 


Per questo misi energia nel fare il nodo alla mia cravatta migliore, di Marinella, un regalo natalizio di un cliente che, nel momento in cui aveva immaginato di salire nella scala della nobiltà aziendale da start up a leader di mercato, aveva preferito scaricarmi per iscriversi al novero di coloro che scelgono i consulenti e i formatori solo tra chi può pretendere cifre doppie giustificate da nomi altisonanti più che da contenuti efficaci. Un po' come i poeti laureati di Montale, mentre io preferivo il profumo dei limoni.


Trovai curioso e quasi liberatorio che proprio quella cravatta, che per me era stato l’ultimo dono prima della ghigliottina, fosse quel giorno simbolo di riscatto, di voglia di vincere, di gloria sonante.

La camicia, ovviamente bianca, profumava di successo. La addolcii con il mio profumo preferito, un gesto apotropaico che risaliva ad un passato perso nella nebbia pre-crisi.

Prima di indossare la giacca del gessato d’ordinanza, prima di partire per quella giornata che aveva i contorni di Waterloo –e bisognava capire se avrei giocato il ruolo di Napoleone o di Wellington-  come ogni mattina, feci l’ultimo giro sul web, per caricare le batterie, rallegrare l’umore, non perdere il vizio di studiare. 

lunedì 28 novembre 2011

E alla fine arriva Pedretti

Prossimo post lunedì 5 dicembre




Capitolo sesto

Lunedì mattina. In macchina. Sulla strada per la Pedretti, prestigiosa azienda di rubinetterie nel comparto di Borgomanero. Sono tutte là le rubinetterie. In uno di quei paesini c’è anche il museo del rubinetto. Devo incontrare il signor Giorgio Pedretti, terza generazione di imprenditori.  Me lo sono sognato questa notte.
Non mi capita spesso. Di sognare potenziali clienti intendo. Con il sonno, e il sogno, ho un rapporto idilliaco e sottomesso. Cedo loro senza nemmeno opporre minima resistenza. Sì, lo so, in questo sono un tipo facile: mi lascio sedurre all’istante. A volte mi addormento nel tragitto che la testa compie per atterrare sul cuscino. E dormo, con la medesima facilità, in ogni circostanza e luogo. Fusi orari? Mi fanno un baffo. Aerei o treni? Perché fare lo schizzinoso! Hotel, pensioni, camere in affitto, casa mia? Tutto fa sonno.
E con la medesima facilità passo dal sonno alla veglia. Beh, magari con un po’ meno di facilità. A volte è come se mi strappassero il sonno dalla faccia, ed è operazione che fa un po’ male, perché ti lascia lì, a metà del ponte che di solito percorri di corsa, per uscire fuggendo dallo stato di incoscienza e approdare, con un senso di salvezza e soddisfazione, nel territorio della razionalità, che per me ha una grande importanza. La sveglia, quelle rare volte che suona anticipando il mio risveglio naturale, mi congela come un faro improvvisamente sparato sulla mia corsa tra i due estremi del ponte. E mi rende più difficile recuperare la piena lucidità.
Allora i primi secondi sono una rissa tra i sogni che mi strattonano pretendendo che li traduca in vita, che li sottragga alla dimensione mistica di profezie o di grida dell’inconscio che vogliono mettermi in guardia da depositi incrostati e dimenticati in qualche polveroso angolo del mio animo da dove possono comunque percolare il loro veleno, inavvertito, nella quotidianità, e la mattina che mi viene incontro a sirene spiegate, a luci squillanti, e non chiede, afferma. Perché i sogni comunque sono un dono, anche quando imbarazzano parlando di donne che non devono avere posto nella tua vita, e che spezzano il rigido controllo, fondato sull’amore, che nella veglia razionale raramente si sbreccia. Ti lasciano in eredità pensieri che è spreco dimenticare e non degnare di una riflessione, anche di sbieco, tra un caffè e uno sguardo al cielo che oggi sembra voler riempire il mondo tanto è blu, tanto è teso e lucido, ventoso, tiepido, stirato.
Vincere queste battaglie rassicura.

lunedì 21 novembre 2011

Una cena animata

Prossimo post lunedì 28 novembre



La cena fu animata come sempre. Quando restammo soli Laura ed io le chiesi finalmente della sua giornata. Oltre a darmi una mano con l’amministrazione e ad andare in aula qualche volta, Laura gestisce con una socia, Rossella, alcuni asili nido in franchising.
“Oggi ho avuto la mia solita dose di pazzie genitoriali. Ho dovuto rimandare a casa un bambino che aveva la febbre. E sai che cosa mi ha detto il padre? Che l’aveva visto un po’ spento, ma che aveva insistito tanto per andare all’asilo che aveva dovuto accontentarlo. Il bambino ha diciotto mesi. Parla a fatica!”
“Si inventano di tutto ormai. E come ha reagito il papà?”
“Si è un po’ seccato sulle prime. Non sapeva dove lasciarlo, questo era il problema. Ma noi non possiamo proprio tenere bambini con la febbre. Per rispetto per lui e per gli altri bambini del nido. Poi mi ha scritto un’altra tizia: voleva informazioni sugli orari e sul sistema pedagogico adottato. Ma lo sai il bello? Non ha ancora un bambino!”
“E quando nasce?”
“Non è neanche incinta! Si stava informando. Capisci? Programmano tutto. Prima ancora di pensare ad un figlio si informa sugli asili nido della zona”.
“Capisco la previsione. Questa però mi sembra un po’ eccessiva”.
“Ce ne sono a manciate di situazioni folli come questa. Ti ricordi di quella signora quarantenne che finalmente era riuscita ad avere un figlio? Mi disse che se lo voleva coccolare proprio questo bambino che aveva aspettato così a lungo. Che voleva goderselo. E che avrebbe fatto delle rinunce sul lavoro, nonostante ricoprisse un ruolo di grande rilievo. Venne da me due settimane dopo aver partorito. Era appena dopo Pasqua. Mi chiese da che età prendevamo i bambini. Quando le risposi che prima dei due mesi era difficile, mi chiese subito se potevamo fare una eccezione. E a raffica chiese gli orari perché pensava di lasciarcelo dalle otto del mattino alle sei di sera. E fortuna che voleva stare con lui! Ho fatto molta fatica a non dirle in faccia quello che pensavo”.
“L’avete preso?”
“Si capisce! E’ con noi dai primi di maggio. E’ rimasto tutto luglio. Ci manca che chiami mamma la Maria! E’ stato più con lei che con la madre. Che poi è apprensiva come poche. E quanto latte ha mangiato. E la cacca. E il riposino. Ha Non ha ancora sette mesi. Quando andrà a scuola, non vorrei essere nei panni degli insegnanti”.
“E’ quel genere di genitore che si lascia comandare dai figli”
“Già come quella che ha il figlio di poco più di due anni e che gli lascia gestire la casa. Mangiano quando lui ha fame. Guardano insieme la televisione e quando lui ha sonno, ordina di spegnere e vanno tutti a letto. Insieme. Nel lettone”.
“Poi sono quelli che ti ritrovi in azienda trent’anni dopo e che distruggono ogni forma di collaborazione”.
Restammo in silenzio per un po’ a guardare la notte che scendeva lieve.
“Domattina c’è la riunione a scuola” riprese Laura.
“E’ un’occasione per incontrare un po’ di amici”, sospirai. Mi sentivo così stanco che il pensiero dell’incontro mi pesava addosso come una lastra di piombo.
“E poi c’è sempre da imparare dalla Mariolina. E’ proprio brava”.
“Qual è il tema della relazione?”
“La relazione tra genitori e figli adolescenti”.
“Eh sì, c’è sempre da approfondire. A proposito…”.
Iniziammo a parlare dei figli mentre caricavamo la lavastoviglie. Poi finalmente il letto dove vedere un telefilm. Laura si addormenta sempre prima della fine così mi tocca raccontarle chi era l’assassino e come l’hanno scoperto. Qualche volta però si sveglia prima della conclusione e sembra che non abbia perso neppure una inquadratura: questo significa che è molto brava a cogliere le trame. O che gli sceneggiatori scrivono storie banali e scontate.

giovedì 17 novembre 2011

Web search


Prossimo post Lunedì 21 novembre



Nella mia pausa pranzo, dopo una frugale insalata –l’insalata è sempre frugale, è ricca solo negli States dove la parola “salade” tende ad indicare tutti quei cibi gustosi e grassi che si lasciano accompagnare da tracce quasi inavvertibili di verdure giusto per scaricare i sensi di colpa degli avventori- e un caffè forte, mi concessi una pipa mentre riposavo la mia mentre saltabeccando dai blog e dalle pagine più divertenti della rete. Anche istruttive si intende, come marketing low cost venditareferenziata, o Alessandra Colucci. Decisi di concedermi una deviazione più culturale con Costanza Miriano oltre che ovviamente il sito ufficiale di prof 2.0 e della Prof. Milani. Poi passai alla posta, in quella transizione che collega lo svago intelligente al lavoro meno impegnativo.
Tornarono le ragazze, scambiammo parole veloci e ilari, per facilitare il passaggio al silenzio professionale. Riuscii a troncare senza sbavature la conversazione e mi rifugiai nel mio ufficio, mentre Irene mi ricordava che si sarebbe messa subito al lavoro per il Parioletti.
Meno di tre ore dopo la proposta era completata. Perfetta.  Guardai fuori sollevando lo sguardo dal mio Mac. Lo spicchio di cielo che riuscivo a vedere era terso e uniforme, anche se i bordi slabbrati iniziavano a cambiare colore. Pensai alla settimana che stava finendo e alla prossima, che avrebbe potuto portarmi una serenità più liscia. Lunedì avrei incontrato prima il cliente che avevo contattato via mail e poi nel pomeriggio avrei presentato la proposta a Parioletti. Una giornata che poteva cambiare il corso delle cose rimettendo in rotta la nostra barca. Dovevo fare lo sforzo di staccarmi dal lavoro per tutto il fine settimana, per non rovesciare sulla mia famiglia tensioni che non meritavano.
Ringraziai Irene per il lavoro, mi sorrise in risposta, poi scambiai le classiche parole del venerdì sera con tutte e tre le ragazze, facendo il punto della situazione. Marina mi disse che aspettava lunedì la risposta da un altro potenziale cliente, un contatto vicino a Roma, un’azienda alimentare che aveva contattato partendo da un articolo su un settimana economico. Mi chiese le disponibilità per poter organizzare un viaggio, mettendo insieme anche un altro potenziale progetto con una azienda che produceva macchine per la perforazione di tunnel. Guardammo insieme il calendario e ipotizzammo un paio di date più probabili.
Poi, insieme, le tre ragazze se ne andarono lasciandomi solo ad aspettare il fine settimana.

lunedì 14 novembre 2011

Executive summary

Prossimo post Giovedì 17 novembre



“Dunque, rivediamo l’impostazione della proposta. Iniziamo dall’executive summary. Una pagina massimo, meglio mezza, con un riassunto chiaro e affascinante per il Parioletti. Anche se penso che, visto il tipo, se la leggerà tutta. Meglio però prevedere la possibilità che legga solo questa prima pagina. Poi la descrizione della situazione attuale, facendo spesso riferimento a frasi e fatti citati dal cliente. Come sempre ho preso appunti e ho segnalato i punti chiave che mi hanno sottolineato. Terza parte: dove vogliamo arrivare. Una descrizione breve e colorita del punto di approdo, la visione che vogliamo rimanga loro in mente. Questo è l’elemento determinante: se riusciamo a far vedere loro dove possiamo condurli siamo a tre quarti della strada. Quindi il percorso: le tappe che intendiamo seguire, ben suddivise nelle varie fasi che corrispondo a differenti servizi che intendiamo proporre loro. Per ogni fase indicare il risultato concreto, così gli facciamo capire che non sono obbligati ad arrivare fino in fondo prima di raggiungere un obiettivo. Se li vincoli ad un progetto troppo ampio si spaventano e non firmano. Bisogna tranquillizzarli: possiamo procedere per gradi anche per migliorare la reciproca conoscenza e possono sganciarsi in qualunque momento avendo un prodotto intermedio valido e utile. Infine la parte relativa all’investimento. Per adesso quotiamo solo le prime due fasi e specifichiamo che per le altre è necessario prima raccogliere informazioni che scaturiranno dalle prime analisi. Così è sicuro che non stiamo cercando di attaccarci a loro come delle sanguisughe per prosciugarli. Tra l’altro non è nel nostro stile. Ma loro non lo sanno ancora. Vuoi provare a stenderla tu e poi la rivediamo insieme o preferisci che prima esaminiamo gli appunti?”.
Irene mi guardò con pazienza. Scosse la testa.
“So bene come prendi nota: ce la posso fare da sola. Anche questa volta”.
Ahi, un pizzico di fastidio nella sua voce: forse ho punto il suo amor proprio. Non volevo. Mi capita.
“Certo. Non avevo il minimo dubbio”, provai ad aggiungere. “adesso però andate tutte a pranzo, ci metti mano dopo, quando rientri”.
Mi guardò come per sottolineare nuovamente la sua completa autonomia. Questa volta voltai veloce il viso per non dover ribattere.

giovedì 10 novembre 2011

L'aiuto di Irene

Prossimo post Lunedì 14 novembre






Chiesi aiuto ad Irene: sicuramente amo scrivere una proposta personalizzandola così da far capire, anche nel testo, che è mia intenzione mantenere la promessa di essere vicino al cliente e di essere… committed…
Aperta parentesi. Ora è necessario una precisazione: detesto usare termini non italiani quando non ce ne è bisogno. Fa cafone, come il diamante secondo Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. Ma è anche vero che c’è una ricchezza nelle lingue che sarebbe da sciocchi sprecare. Ora committment, e i suoi derivati, è una di quelle parole che non riesco a tradurre senza tradire, senza asciugarla non dal grasso che la rende esagerata, ma dalla linfa che le dà vita. Perché commitment è molto più che impegno, è dedizione anche fisica, avvolgente, intensa. Uno sforzo senza fine, senza limiti, senza riserve.
E’ questo che dice la nostra promessa: siamo… commited ai vostri obiettivi. Chiusa parentesi.
Torniamo a noi. Dicevo che mi piace personalizzare le proposte, ma senza farmi male. Se esistono delle parti ripetitive, inutile inventare l’acqua calda ogni volta. Taglia e incolla. Con giudizio.
Chiesi quindi ad Irene da quale altra proposta potevamo partire per redigere l’offerta che avrebbe potuto farci veleggiare verso nuovi lidi.
E insieme controllammo l’indice.


lunedì 7 novembre 2011

La cananea insegna

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Capitolo quinto

Arrivai in ufficio intorno all’ora di pranzo. Che è un’ora affascinante per segnare un nuovo corso. Ci si può giocare. 

Mezzogiorno di tuono. Meglio: mezzogiorno di poco. 

Un poco ancora per trovare la strada giusta. Salutai Irene; Simona e Marina che attendevano con ansia il mio resoconto, avendo chiaro anche loro, Irene in modo più acuto, che il futuro della nostra compagnia era in buona parte connesso al successo dell’incontro della mattina.

Mi gustai il silenzio che precedette la mia affermazione di ottimismo. Perché in quei silenzi c’è spesso il senso delle cose. Non dico della vita, perché sarei più imputabile di presunzione che di ottimismo, e passerei per un millantatore invece che per un filosofo facilone. Ma il senso delle cose sì, perché dilatare quell’istante nel quale le speranze possono implodere generando disperazione o, scoppiettando, trasmutarsi in certezze, quell’istante merita di essere onorato e soppesato. 

E’ intriso di una forza speciale che dovrebbe condurci nelle profondità di noi stessi, per scoprire fino a dove realmente arriva la nostra fiducia in Dio, o comunque nel fatto che esista un senso, un destino positivo, capace di guidare i fatti così da farci beneficiare comunque, qualunque cosa capiti. 

In effetti, se la nostra fede fosse al di sopra del minimo sindacale, di quella misura scarsa e limitata che ci consente solo di affermare una blanda categoria dello spirito; se la nostra fede fosse davvero salda e cieca, sovra razionale, quindi non emotiva ed effimera, ma incrollabile perché costruita sopra e oltre la ragione; se la nostra fede fosse come quella della cananea più che quella di Giobbe, allora realmente sapremmo cogliere in ogni situazione il bene che ci sta nascosto, magari in profondità come un tesoro su un isola caraibica. 

E quindi la nostra domanda non sarebbe più “perché a me?”, interrogativo che lungi da chiedere una risposta, afferma una minaccia, ma “che cosa ci devo leggere?”. 

Per fortuna Dio, o chi per esso, conoscendo le nostre debolezze agisce in due modi: spesso ci mette in condizioni di ringraziare, lasciandoci accedere a sentiero apparentemente più desiderabile del bivio; altrimenti ci fornisce, direttamente o per interposta persona, suggerimenti su come leggere il messaggio cifrato.

Gustai il silenzio e poi mi espressi così: “direi che abbiamo ottime possibilità. Ho fatto una buona impressione. Devo preparare una offerta per lunedì. Ce la possiamo fare”.

Ricevetti in cambio rumori e parole di soddisfazione e di elogio, che sapevo di meritare e che mi fecero piacere. Anche i capi vanno elogiati qualche volta. Anche i capi hanno bisogno di sentirsi riconoscere il merito. Di aver fatto qualche cosa bene. Io ne ho bisogno. Stop.

giovedì 3 novembre 2011

Una questione di controllo

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Pratico ed essenziale. Decisamente un direttivo puro. Necesse rispondere nel medesimo modo:

“Partiamo. Per farlo ci restano due passaggi da esaurire al più presto. Primo: le preparo una proposta di investimento, così che possiamo accordarci sul reciproco impegno. Secondo: fissiamo il calendario per la fase iniziale di analisi. Se è d’accordo vengo da lei  lunedì per presentarle la mia offerta”.

“Se non mi costa troppo, si intende”.

Non è che lo pensi veramente, è che deve far vedere che il controllo ce l’ha lui, e che la decisione la prende lui. Non vuole sentirsi forzare. Corretto e comprensibili visto lo stile. Per questo sorrido, lo guardo fisso negli occhi e rispondo:

“Certamente. Sono sicuro che la proposta che le porterò la prossima settimana sarà in linea con quanto mi ha fatto notare fino a qui e con ciò che si aspetta per gestire un progetto come questo”.

Taccio, lascio che il silenzio si spanda tra di noi per permettere a chi vuole di prendere la parola e aggiungere quello che eventualmente manca. Non lo fa nessuno. Immaginavo.

“E’ stato un buon incontro: mi aspetto di incontrarla per discutere la sua proposta allora”,
dice alla fine Parioletti. E’ il segnale del rompete le righe. Si alzano tutti. Anch’io. Gli stingo forte la mano, sempre sorridendo.

Sono fuori. Sono riuscito a trattenermi fino ad ora da lanciare un grido di gioia che spacchi il cielo, che solchi questo azzurro ottombrino che stinge di fresco il mio futuro prossimo. Una grande occasione. Non posso sciuparla.

Poco più di un anno fa. Chiusi i miei pensieri nell’abitacolo della mia auto e mi precipitai in ufficio per preparare l’offerta. 

Se avessi saputo. Se avessi capito che mi avrebbe portato qui, oggi, adesso….. 

L’avrei fatto ugualmente. 

lunedì 31 ottobre 2011

Capisco la sua domanda...

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Eccola, la più stupida e frequente delle domande! Lecita, si intende, ma anche banale, insipida. E la difesa del debole. Che non vuole rischiare. Beh, magari io non sono stato in grado di fargli capire il valore di quello che sto proponendo. Cerchiamo di rimediare

“Capisco la sua domanda. E’ importante dare una risposta chiara e profonda. Immagino che anche voi, come molte aziende oggi, non prendiate più in esame esborsi di denaro che siano costi: considerato solo investimenti. Per questo le posso parlare in termini di ritorno sull’investimento. Come dicevo, l’esperienza mi dice che, migliorando le capacità di negoziare con i fornitori, è possibile in breve tempo aumentare i margini attuali di 2 o 3 punti percentuali. Non che i nostri clienti non abbiano ottenuto risultati anche migliori, siamo arrivati ad una punta del 7%. Non voglio però millantare per cui preferisco rimanere conservativo. Se i vostri margini attuali superano i 40.000 € all’anno, posso assicurare che l’investimento che vi chiederò di fare per questo specifico percorso è ampiamente superato dai guadagni che otterrete. Per quello che riguarda l’analisi del processo aziendale, non posso quantificare ROI e Pay Back Time. Per questa ragione sono solito proporre un percorso per step che permetta sia di controllare l’investimento, sia di produrre di volta in volta risultati concreti, assicurando così al committente la possibilità di interrompere la collaborazione senza lasciare a metà strada l’analisi, e senza avere così sprecato risorse. Che ne dice?”

Franchi sui tira indietro. Ha lanciato il sasso. Ma non sarà lui a raccoglierlo da terra. Guarda Parioletti che annuisce.
“Mi ha convinto. Allora adesso che cosa facciamo?”.

giovedì 27 ottobre 2011

Ma quanto costa?

Prossimo post Lunedì 31 ottobre





“Credo che abbiamo individuato solo uno dei punti che potrebbero produrre il calo dei margini che lei ha evidenziato. Sarebbe ingenuo da parte mia pretendere che con solo poche domande sono stato in grado di scoprire un problema che, sono sicuro, le era già ben presente. Quello che posso suggerire è una direzione da prendere insieme. Esaminerei con più dettaglio l’intero processo di produzione di margine, dal momento della individuazione dei potenziali clienti fino alla rendicontazione finale che permette di fatturare al cliente. Possiamo anche lasciare da parte per il momento la fase di prospezione, che per definizione è migliorabile ma per esperienza non ha grande impatto sui margini, per iniziare dal primo contatto con il potenziale cliente. Questo ci permetterà di individuare tutti i fattori critici e, tra di essi, quello che ha priorità principale e, probabilmente, genera tutti gli altri. Che ne dice, dr. Parioletti, le sembra che questo modo di procedere sia in linea con le sue aspettative?”.
Ecco, forse le aspettative non c’entrano molto, ma è stata la prima parola che mi è venuta in mente per concludere il discorso. Il mio obiettivo è portare a casa un primo sì: il primo passo fatto insieme.
“Se lei ritiene che non ci sia una strada più breve per risolvere il problema!”
“Potremmo fare in questo modo: portare avanti contemporaneamente due progetti su due piani diversi. A livello strategico analizzare il processo e individuare le priorità di miglioramento. A livello tattico intervenire su un’area che permette di ridurre le spese con rapidità, producendo in media un 2-3% di margini in più. Intendo dire un percorso di formazione, breve e molto concreto, per facilitare la negoziazione con i fornitori, prima e dopo la sigla dell’ordine e dopo la conclusione dell’evento, per ridurre i costi. In questo modo possiamo da subito produrre un risultato positivo, senza perdere di vista l’intervento più radicale che permetterà di risolvere il problema alla radice. Le sembra che questa soluzione la soddisfi?”
Sempre chiudere con una domanda. Mai dare l’impressione di volersi imporre. Parioletti mi guarda, guarda i suoi. La donna sorride sempre, ho quasi l’impressione che sia lei a tirare i fili. Franchi annuisce, rischiando forse qualche cosa. Poi, forse per riscattarsi agli occhi del capo, si sporge verso di me e mi chiede a bruciapelo.
 “Quanto costa?”

lunedì 24 ottobre 2011

La chiave di volta

Prossimo post Giovedì 27 ottobre



“E’ un problema comune a molte aziende. Magnaga le avrà sicuramente raccontato che anche da loro era presente questo ostacolo. Perché io possa capire meglio vorrei farle una domanda dr. Franchi: chi è che prepara la descrizione dell’evento da sottoporre al cliente? Direttamente la vendita o è il suo team che, attivato da chi sta gestendo la proposta, raccoglie tutti i dati per elaborare la proposta? Chiedo questo perché immagino che la descrizione che dovete presentare, corredata da una proposta di investimento, debba essere molto dettagliata e questo implica che abbiate già preso contatto con i potenziali fornitori.”
Taccio e guardo. Parioletti sembra divertito. Buon segno. La sua assistente, che fino ad ora ha mantenuto una espressione rigida, finendo per assomigliare a quelle statue viventi che sfidano i passanti per racimolare quattro lire, sorride. Al capo ovviamente. Non riesco a capire se si tratta di sarcasmo per la difficile posizione di Franchi o di soddisfazione per la piega che ha preso il colloquio. Prima che Franchi risponda Parioletti interviene:
“Ha già lavorato in questo settore dr. Fossati? Mi sembra che la sappia lunga su come gestiamo il business! Non starà mica assistendo anche qualche nostro concorrente?”.
Come prima cosa noto quella parola che mi rassicura: “anche”. Sta parlando come se stessi già lavorando per loro. Altro buon segno. Poi mi occupo di rassicurarlo. Lo guardo negli occhi e sorrido:
“Non lavoro mai contemporaneamente per aziende concorrenti. Sebbene la nostra lealtà ci impedisca di condividere informazioni riservate, preferisco evitare anche il rischio di inquinamenti involontari. Ho lavorato in passato per un gruppo internazionale, BTE, e quindi ho sviluppato una certa conoscenza del settore”.
Vedo. Mi sembra che si muova bene. Dunque che cosa suggerirebbe di fare a questo punto?”.
Ecco il punto magico. La chiave di volta. Ma anche il rischio maggiore. Non devo cadere nel tranello che mi sta tendendo. Se fornisco subito una soluzione, sono perso. Sicuramente non sarà quello che aveva in mente lui, e non ho ancora conquistato sufficiente autorevolezza per poterlo contraddire.  Ancora una volta mi sta mettendo alla prova. 

giovedì 20 ottobre 2011

Contromossa: Franchi si salva accusando Caniato. Un déjà vue

Prossimo post Lunedì 24 ottobre




“Un peccato non sia con noi Caniato, il responsabile vendite, dottore, lei non lo conosce. Non ancora. Avrebbe potuto dirci molto su come contattano i clienti. Quello che posso dire io è che facciamo del nostro meglio per tirare fuori dalle informazioni che ci passano i dati utili a strizzare i fornitori e organizzare eventi di gran classe. Quelli, per intenderci, che ci hanno reso così noti e che hanno fatto di HAL il leader di mercato”.
Silenzio. Sta sparando alla schiena al collega con classe, devo ammetterlo, e difendendo il proprio lavoro come se Parioletti l’avesse messo in dubbio. Forse non qui, non ora, ma credo che il capo gli abbia fatto presente che si aspetta di più da lui. Poiché il silenzio si protrae più di quei secondi necessari a raccogliere le idee, decido di intervenire.
“Quindi, se capisco bene, una prima area che potrebbe essere presa in esame è quella del passaggio di consegne, che può essere ottimizzata: in questo modo non solo sarà possibile produrre quegli eventi di successo che già vi caratterizzano, ma anche rendere più facile la negoziazione con i fornitori per aumentare i margini. Siete d’accordo?”.
“Decisamente! E’ proprio così!”
Franchi non vedeva l’ora di spostare l’attenzione da sé.
“Mi sta dicendo che non avete ancora risolto il problema della collaborazione?”
A Parioletti non sfugge nulla ed è molto diretto! Il collaboratore nicchia. Devo intervenire per tirarlo fuori dai guai senza ostacolare Parioletti.

lunedì 17 ottobre 2011

Un direttore nelle pesti

Prossimo post Giovedì 20 ottobre



Certo che posso! E mi sembra anche di capire dove e come. Il punto è come dirtelo, come fartici arrivare da solo. Perché la prima cosa che mi viene in mente di dire è “togliti da parte e fammi lavorare, dato che siete così disorganizzati da non avere neanche uno schema, non dico una strategia che ho capito non sai neanche da dove si comincia a scriverla, ma un banale 4-4-2: quattro operativi, quattro di supporto e due venditori”.  D’accordo, vediamo di procedere con calma

“Capisco bene quello che dice. Certamente posso proporre delle soluzioni che le permettano di incrementare i margini. Proprio per questo è importante capire quali siano le priorità. In un business come il suo il margine è dato da alcuni fattori principali: sicuramente l’investimento che riesce a ottenere dal cliente. Si può fare di più in quest’area? Come siete posizionati? Sia a livello di prezzo di mercato sia come percezione da parte dei clienti. I servizi che offrite vi permettono di differenziarvi? Poi, come negoziate con i fornitori? Si può ottenere di più o riuscite già a limare tutto quello che si può? E sui termini di incasso e pagamento? Anche il flusso di cassa e gli oneri finanziari sono voci che incidono sul margine. Da ultimo l’efficienza e la sinergia delle risorse: ridurre i tempi di lavorazione e quindi di fatturazione, ridurre gli straordinari, sono tutte voci importanti che hanno un impatto non indifferente sulla riga del profitto. Quale di questi fattori secondo la sua esperienza incide di più? Da quale sarebbe bene cominciare?”

Ecco, volevi fare il duro? Rispondimi un po’ a questa domanda! E’ qui che cadono spesso gli imprenditori direttivi come Parioletti. Grande esperienza, direi pratica, e poco approccio sistematico: finché va bene, una pacchia. Quando cominciano a sentire la concorrenza, non sanno da che parte incominciare perché non hanno una visione chiara di ciò che fanno. Ci vuole un’arte sottile per arrivare a metterli a nudo. Perché non puoi essere diretto. Almeno non è il mio stile. Preferisco la maieutica alla arroganza. Ricordo quella volta che un imprenditore voleva scaricare sulla propria forza vendita la sua incapacità di definire strategie commerciali, pretendendo che fossero area manager junior a spiegargli come crescere in mercati ostici, riuscii a trattenermi e a dirgli “guardi, c’è sicuramente un problema di comunicazione: i suoi uomini non riescono ad applicare la sua strategia perché non l’hanno capita e non l’hanno fatta propria”. Così va il mondo. Così vanno le cose qui in HAL per cui non mi stupisco affatto della reazione di Parioletti. Si appoggia allo schienale della sedia, Respira profondo. Guarda le persone di fianco a lui e poi:

“è una domanda per voi signori, specie per lei Franchi, che cosa mi dice a riguardo?”

Franchi lo guarda sorpreso. Temeva di essere chiamato in causa e per questo si era quasi nascosto dentro la sua giacca. Occhi a terra. Li alza come richiamato a vita da un padrone infastidito. Si sistema gli occhiali. 

giovedì 13 ottobre 2011

Iniziamo a segnare i primi punti a favore

Prossimo post Lunedì 17 ottobre



Starà verificando la mia sobrietà oppure preferirebbe vedere un consulente aggressivo? So che qualche consulente sceglie la strada dell’aggressività per ottenere fiducia. Non è la mia scelta. Non so se più per rispetto del cliente o se per incapacità personale. Propendo più per la seconda ipotesi. Soffro di overdose di onestà intellettuale che sfocia spesso in una presunta insicurezza, il confine tra  la sobria umiltà e la stinta debolezza. Devo dare una risposta vincente, che mi permetta al contempo di affermare il mio prestigio e non apparire arrogante.
“Sicuramente il dr. Magnaga le avrà anticipato quello che è il nostro approccio che sintetizziamo con La forza delle soluzioni senza l’arroganza del solutore. Quello che le posso garantire è il mio, il nostro massimo impegno. Ci sentiamo impegnati a raggiungere i risultati che lei desidera. Devo essere comunque molto sincero: non abbiamo poteri magici e non sempre gli obiettivi auspicati sono raggiungibili in modo vantaggioso, intendo dire con un sufficiente ritorno sull’investimento. Per questo dico spero. Per lo meno adesso prima di conoscere il suo problema. Se le garantissi di poterlo risolvere prima ancora di conoscerlo farei del wannamarketing”.
Attendo. Sembra rilassarsi. Abbozza un sorriso. E’ andata. Proseguo.
“Preferisce spiegarmi subito il suo problema o desidera avere qualche informazione in più su di me e sul mio studio?”
Meglio ridare la palla a lui per fargli capire che per me il suo tempo è importante e non voglio farglielo spendere, tanto meno rubarglielo.
“So già a sufficienza di lei. Conosco Magnaga da anni e se dice che posso fidarmi, mi fido. Semmai mi racconterà più avanti. Il nostro problema sono i margini. I nostri clienti chiedono sempre di più e non riusciamo a ottenere quello che vorremmo dai fornitori”.
Non aggiunge altro. Uomo di poche parole. Dà molto per scontato. Se si comporta così con i suoi collaboratori potrebbe essere lui la prima causa del problema. E gli altri, non hanno ancora aperto bocca. Chiaro chi comanda.  
“Come le dicevo quello che so di HAL è che organizzate svariate tipologie di eventi specialmente per promuovere il marchio e la notorietà dei vostri clienti. Può spiegarmi meglio come è strutturato il vostro processo di vendita e di erogazione dei servizi così che possiamo iniziare a capire dove nasce il problema?”
“Processo di vendita. Che cosa intende? Noi andiamo dai clienti e chiudiamo i contratti. Poi ci lavoriamo i fornitori. Tutto qui. E non otteniamo i margini che vorrei. Può fare qualche cosa?”

lunedì 10 ottobre 2011

Gambetto di direttore commerciale

Prossimo post Giovedì 13 ottobre



La visione del palazzo da fuori era “impressive”: parlava di solidità, ma anche rigidità. Quasi uno di quei torrioni che incutono timore su Regent Street più che i flessuosi grattacieli che costeggiano il lago sul Magnificent Mile di Chicago.

Entrai. Mi fecero accomodare. E attendere. Ho sempre l’impressione che queste attese siano studiate. Per caricare, per esaminare, per vedere. Mi immagino che ci sia una videocamera nelle sale d’attesa, o un finto specchio, così che possano studiarti prima di parlarti di persona: vedere se ti metti le dita nel naso, se sei nervoso, se inganni il tempo. Sarà una mia fissazione.

Poi d’un tratto si spalanca la porta e lui entra. Non è solo. Con lui una ragazza, appena sopra i trenta direi, e un uomo nostro coetaneo. Non è più alto di me, un po’ squadrato, capello morbido e appena lungo. Occhi azzurri. Come l’avevo visto nelle foto scovate sul web. Lo saluto con un sorriso. Ringrazio. Accenna. Mi presenta in due collaboratori: Anna Lucchini, la sua assistente personale e Marco Franchi, il direttore operativo, che in una azienda come questa vuol dire tutto e niente. Si fa sul serio allora.

Ci sediamo. Si inizia a ballare. Sorrido. Mi sporgo verso di loro. Sembrano ritrarsi. Non è un segno incoraggiante. Guardo fisso negli occhi Parioletti. È lui il capo. Gli va tributato rispetto.

“Vorrei innanzi tutto ringraziarla di avermi contattato. So che la sua azienda è leader in Italia, collabora con le principali case di moda, come Fresco & Torrana,  e che si sta espandendo in Europa grazie anche alle recenti acquisizioni. Il dr. Magnaga, che ha favorito questo incontro, mi ha fatto qualche cenno ai vostri punti di eccellenza, che vorrei però capire con più dettaglio.
Il mio obiettivo oggi è capire quali sono gli obiettivi al raggiungimento dei quali posso dare un contributo. Per questo vorrei prima capire che cosa sa di me, così da poter brevemente illustrare i punti essenziali che le permetteranno di farsi una idea della mia struttura. Poi vorrei capire in quale modo pensa possa esserle utile così che possiamo allineare le aspettative. Infine farle qualche domanda per poter studiare meglio la soluzione. C’è qualcosa d’altro o di diverso che intendeva per poter far fruttare ancora meglio questa ora che abbiamo concordato di investire insieme?”.
“Magnaga mi ha detto che lei è stato capace di capire quale fosse il suo problema e di risolverlo in tempi rapidi. Vorrei facesse la stessa cosa con noi”.

“E’ quello che spero di fare”.

“Spera o è sicuro?”

Bella mossa: adesso come rispondo? 

venerdì 7 ottobre 2011

L'incontro con Parioletti - diciassettesima puntata

Prossimo post Lunedì 10 ottobre




Quarto capitolo

“E’ stato un buon incontro: mi aspetto di incontrarla per discutere la sua proposta allora”.
Una ottima fine dunque. Vale la pena raccontare dall’inizio.
Racconta il Manzoni che il principe di Condé non fece fatica a dormire la notte prima della battaglia di Rocroi. Neppure io. E senza uso di sostanze chimiche. Crollo. Non sento la tensione prepartita. O forse la sento così tanto da svenire.
E poi la mattina corro. D’accordo, come tutti oggi nel proprio lavoro. Beh, diciamo quasi tutti. Specie i liberi professionisti. Perché tutti a dire che siamo in fuga dalle tasse. Che non è vero, Per onestà personale prima che professionale. Ma nessuno a dire che inseguiamo il lavoro che non è mai stabile né sicuro. C’è che uno sogna la carriera di consulente per iniziare a vivere come ha sempre sognato. Non per i soldi, non solo almeno, quanto per l’uso del tempo: immagini che finalmente potrai iniziare a giocare a golf, seguire le partite dell’Inter, magari anche quelle dell’Armani e così via. Poi ti ritrovi a lavorare con la famosa formula 24/7: vale a dire senza soluzione di continuità. E per tirare a campare. Chi è causa del suo mal….
Quindi corro. Ho iniziato da qualche anno e mi diverto. Anche se da fuori può sembrare follia. Come la pensavo io prima di iniziare. In realtà mentre sei lì che ti poni sempre nuovi obiettivi, nuove sfide, nuovi record, come tutti gli uomini, mentre sei lì che conti i passi, guardi il cardiofrequenzimetro, visualizzi la falcata, ascolti nell’iPod le canzoni che spingono, riesci a scollegarti da tutto, a entrare in una dimensione che potrei definire fiabesca, infantile. Quando correvi per il gusto di farlo, per scaricare energie, perché ti andava di farlo. E tutto sembra andare a posto, perdere gli spigoli.
Ho persino coniato la mia personale versione della ben nota pubblicità Mastercard: scarpe Mizuno a risposta morbida 140 € con Mastercard; tutina da uomo ragno Nike 88 € con Mastercard; iPod nano 99 € con Mastercard; Gonna fly now 2,99 € con Mastercard: correre per la salita del centro commerciale credendoti Rocky non ha prezzo.
Ci si diverte con poco. Siamo spiriti semplici.
Così, tornato a casa dopo la corsa mattutina, passato in fretta –ma non troppo: siamo uomini in fin dei conti- sotto la doccia, rivestito di tutto punto con divisa da cliente, controllato che nella valigetta ci fosse tutto quello che doveva esserci, diedi uno sguardo fiducioso all’immagine della Madonna che sorveglia camera nostra, e… Parioletti!

mercoledì 5 ottobre 2011

La figlia numero 3 - sedicesima puntata


Prossimo post venerdì 7 ottobre




Serena, la figlia numero tre, rompe il ghiaccio raccontando dello spettacolo teatrale della sera prima: sogno di una notte di mezza estate.
 Un po’ una pizza?
Quanto è durato?
Quattro ore!
Quattro ore! Ma: quattro ore o  tipo quattro ore?
Quattro oreI!
Ah beh. Quattro ore! L
E non c’era scenografia. Tipo un cartello luminoso con le lettere che si limitavano a dire Foresta, Spiaggia… e basta. E poi recitavano pesante, gonfio…  Insomma una palla….
Lasciamo stare il teatro allora. La discussione scivola sulla serata di Luca.
Come è andata la cena a casa Brambilla? E a proposito: ma quanti sono, quattro fratelli? 
E come si chiama quello che ha la tua età?
Quella che ha la mia età intendi.
Sì. No, quello. Non quella.
Quello che ha l’età di Eleonora allora.
Sì.
L’età di Eleonora. Appunto.
Ah. E tu conosci lei o lui.
Tutti e due.
 Ah.
Incredibile vero? Quanti incontri si possano fare.
Hanno cambiato casa, l’altra era troppo grande! Che lavoro fa adesso il papà?
Fermi tutti. Basta domande. Mi faccio mandare un fax con stato di famiglia, albero genealogico, cv, e piantina con metratura della nuova casa.
Chiusa la vicenda della serata di Luca, passiamo ai commenti sul cibo.
Il pollo è delizioso così croccante. Odio il pollo pallido. Mia madre era capace di cuocere un pollo lesso mentre lo faceva arrosto. Laura prova ad intervenire per indirizzare la discussione raccontando storie note del suo passato prima di noi.
La cena scorre veloce. Il cursore ha quasi raggiunto la fine file.
Non hai ancora finito il pane? Hai il ritmo di un maratoneta! Noi siamo scattisti.
Il nipotino ieri aveva la febbre. Lo so, lo hai urlato al telefono questa mattina. Anche il papà urla al telefono, specie quando dice “io ti senti, tu mi senti?”. Lui no, ma tutto il condominio sì. E’ come il nonno: più è distante quello che chiama, più lui parla a voce alta. Ma glielo avete spiegato che non funziona così?
Poi la compagnia si sciolse, ognuno intento a trovare la gioia dentro la propria serata. E io, dopo aver aiutato Laura a sparecchiare, me ne restai ancora un po’ in terrazza, in poltrona, a leggere e pensare.
Laura siede accanto a me. Mi sorride. Tace. I miei pensieri saturano lo spazio che ci unisce. Riprende a leggere. Io guardo fuori la sera e le luci delle case. E prima di spegnere l’attenzione lancio la mia sfida: “Parioletti, a noi due!”







lunedì 3 ottobre 2011

Nasce il disagio - quindicesima puntata

Prossimo post Mercoledì 5 ottobre




Man mano che trascorreva il tempo aumentava in me una sorta di disagio, di insofferenza: si trattava della solita invincibile ansia che mi tormenta da sempre. Quel senso di incompiutezza, di mancato controllo: insomma la vocina che insinua che potresti fare di più, meglio, che stai sbagliando priorità, che dovresti… potresti… Non che non sia importante ed utile chiedersi sempre se stiamo perdendo tempo o se stiamo lavorando al meglio delle nostre possibilità, che è cosa doverosa e salutare. Gli è che l’eccesso stroppia. E spesso è quell’inconscio cattivo in noi, la voce del nemico, che si alza lieve e ronzante, come una vuvuzela dell’anima, a solleticare turbamenti, angosce sommesse, giusto per togliere la pace e guastare le relazioni.
Perché quando sei preso da quell’avviluppante senso di spreco, come se un ladro ti rubasse il tempo avvelenando ogni cosa così da sciuparti i minuti, allora ti vien dentro la voglia di rivalsa e finisci per prendertela con chi ti circonda, senza un particolare motivo se non quello di buttar fuori la pressione, come una valvola di massima che sfoga all’aria.
Quando sentii montare dentro di me questo sentimento, decisi di smettere e di chiudere lì la giornata. In ufficio era rimasta solo Marina, ancora alle prese con alcuni messaggi per i clienti. La invitai a rimandare all’indomani il lavoro e a tornare a casa. Dovetti insistere. Poi, come soleva proporre e fare Paulista, chiusi il gas e andai via.
Scese improvvisa la sera. In quei giorni in cui il sole non sa ancora se si è riappropriato del tempo o se l’ora è ancora affidata al legale, il tramonto sembra più rapido e secco. I colori è vero sono ancora pastello, o già pastello, e questo stinge i pensieri in una malinconia che intenerisce il cuore non solo ai naviganti. O forse siamo tutti naviganti, surfiamo sulla vita per restare a galla.
Prima che il tramonto spegnesse ad uno ad uno i contorni, sedemmo a cena ancora una volta sul balcone. Sono piacevoli queste cene di famiglia. La nostra è numerosa. Con giudizio.  Siamo in sei.  Quella sera c’eravamo tutti. Una felice coincidenza. Francesco, il più piccolo, stava in silenzio, concentrato sulle vicende dei fratelli, nell’attesa di poter intervenire per mettersi in evidenza. Luca, il maggiore, guardava svogliato il piatto, desiderando probabilmente essere altrove. Eleonora agitava la tavola spostando freneticamente bottiglie, bicchieri e ciotole, seguendo un ordine che mi era sconosciuto.


giovedì 29 settembre 2011

Una strana allegria - quattordicesima puntata


Prossimo post lunedì 3 ottobre







Irene contestava la necessità di dire qualche cosa su di noi, asserendo che il Magnaga ci aveva già presentati. Accordato. Ciò detto almeno una frasettina per posizionarsi me la sarei spesa.
 E avrei cercato di mettere in buona luce ciò che avevamo fatto per il Magnaga e per altre aziende simili.
La discussione ci prese quasi un’ora, tempo ben investito se mi avesse aiutato a guadagnarmi la fiducia del cliente. Lo avrei sperimentato il giorno seguente.
La giornata era arrivata al suo mezzo. Ancora calda in quell’ottobre che si sforzava di assomigliare a maggio. Si poteva stare ancora in terrazza, il mio ufficio estivo. I due tavoli da picnic, eleganti e sobri, erano coperti da fogli e appunti: più il segno  di aspirazioni che il sintomi di occupazioni.  Guardandoli non potei fare a meno di sentirmi contento. Per quanto fosse assurdo, non ero preoccupato. Tutt’altro. Come se presagissi qualche cosa, ma senza la follia ottimistica di chi recita a se stesso quelle frasi idiote con le quali i propagatori di pensiero positivo invitano ad avvolgersi. Piuttosto con un’ allegria radicata: quella sicurezza che da bambini ci prendeva quando pensavamo che, per quanto in difficoltà si fosse, ci sarebbe sempre stato qualcuno –papà, mamma- che ci avrebbe mostrato la strada. E ci avrebbe tenuto fuori dai guai. Ho sempre desiderato realizzarmi un quadretto che mostri i gigli dei campi e gli uccelli del cielo, colpito da quel passo del Vangelo che li addita come esempi di fiducia. Sono sicuro che alzare lo sguardo e vedere una simile immagine mi restituirebbe al cuore quella pacatezza che a volte sfugge.
Perché ognuno di noi ha immagini che lo ispirano e gli muovono dentro qualche cosa che lo rassicura e lo induce ad agire.
Trascorsi il pomeriggio immerso in pensieri e scrittura. Amo molto scrivere e mettere su carta, ancorché ormai virtuale, mi aiuta a riflettere e a mettere ordine. Faccio uso di strumenti che indirizzano le idee e le configurano in alberi, mappe, grappoli così da poter essere più facilmente comprese e spiegate. Sono un visuale e non solo tendo ad esprimermi per immagini, ma anche a catturare la conoscenza più facilmente se è sotto forma di disegno o schema. 

mercoledì 28 settembre 2011

Le ultime tre domande - tredicesima puntata


Prossimo post venerdì 30 settembre


Quarta domanda: di che cosa vuoi parlarmi oggi e perché? Non iniziare ad imbonirmi con queste frasi molto americane: sì, ma da serial di provincia. “Ho una buona notizia per lei”. La migliore sarebbe, se inizi così, che mi annunci che hai deciso di andartene subito! Sii professionale. Dimmi quali sono i punti che hai previsto di affrontare oggi. Perché hai previsto qualcosa. Lo spero almeno. Non vorrai farmi credere che sei venuto da me senza avere in mente di che cosa mi vuoi parlare? Che ci hai pensato solo mentre alla reception attendevi innervosito che mi decidessi a farti salire? Che hai fatto mente locale solo salendo le scale? Sarebbe veramente squalificante per te. E allora di che cosa vuoi che parliamo? Ma soprattutto perché vuoi che ne parliamo? Che valore c’è per me nell’affrontare con te questo discorso? Perché se l’interesse è tutto tuo, mi spiace carissimo, ma quella è la porta. Il tempo è denaro! E il mio costa e vale più del tuo. Quindi, veloce, essenziale, efficiente: fammi una agenda motivata e avrai guadagnato qualche punto.

E poi, quinta domanda, quanto mi costerà tutto questo? Dieci minuti? Un’ora? Tutto il giorno? Devo programmare io. Non amo sorprese. E non amo furti. Non venirmi a dire “le rubo solo cinque minuti”. Se devi rubare, vai altrove. Non qui. Io non mi faccio sottrarre tempo. Nemmeno lo regalo (“ha da regalarmi pochi minuti?”). Quello che posso fare e farlo fruttare (“nella mezz’ora che le chiedo di investire con me…”). Ecco, questo mi piace. Sarà una parola un po’ stirata, lisa, ma fa sempre il suo effetto. Perché, come diceva Nanni Moretti, “le parole sono importanti!”. Sii preciso: se dici mezz’ora che mezz’ora sia. Se mi interessa, sarò io a chiederti di continuare.

E infine, sesta domanda, credi che io sia qui a fare da tappezzeria? Che non conti? Mi vuoi in qualche modo coinvolgere? Che parte avrò io in tutto questo? Vuoi chiedermi se sono d’accordo con quello che mi proponi o dai per scontato che la tua abilità e il tuo fascino mi abbiano irretito al punto da non poter che cadere ai tuoi piedi come i naviganti alle sirene? Chiedimi se voglio procedere così o se intendo modificare i tuoi piani. Almeno mi rendi felice.

Riportando all’animo questi quesiti, riflettevo su come impostare i primi istanti davanti a Parioletti con l’aiuto di Irene.

lunedì 26 settembre 2011

Le prime tre domande - dodicesima puntata

Prossimo post mercoledì 28 settembre



La prima è: chi sei e perché dovrei darti retta? Ho così poco tempo, specie oggi, per quale ragione dovrei sprecarlo con te? Dammi una motivazione valida per non alzarmi da questa sedia subito e congedarti con disonore! Senza esagerare però, perché non voglio né ascoltare una tua dettagliata biografia, né tantomeno essere sottoposto ad un noioso ed irritante auto-elogio. Non voglio avere a che fare con qualcuno che ostenta di essere superiore a me: e che poi lo sia realmente è tutto da dimostrare. Dimmi dunque quelle quattro sintetiche cose che mi permettano di capire che sei all’altezza delle mie aspettative, e mia, e che non sto perdendo tempo.

La seconda è: che cosa sai di me e della mia azienda? Ti sei preparato oppure stai facendo il giro della tentata vendita “signora quante mozzarelle le lascio?” come un piazzista col suo camioncino? E non sai neppure chi siamo, che cosa facciamo o chi sia io, soprattutto chi sia io, perché io mi amo, io mi stimo, io mi vanto, magari sommessamente, magari inconsciamente, ma mi vanto e se tu non sai nulla di me, sono guai ragazzo. Dunque, come ti sei preparato? Hai fatto i compiti a casa? Hai navigato alla ricerca di notizie che puoi, ora, con delicatezza e senza ostentazione, ricordarmi? 

La terza è: chi siete? Perché pensate di poterci essere utili? Posso anche credere che sei in gamba: tu. Ma la tua azienda? Come può aiutarmi? E non venirmi a raccontare tutta quella serie di favole infinite in cui mi dici che perseguite l’eccellenza, che il vostro servizio clienti è impeccabile, che fate leva sul miglioramento continuo, che soddisfate ogni richiesta in ogni momento in ogni parte del mondo. Sarà vero ma: primo, me lo dicono tutti per cui non saprei neanche più distinguervi; secondo è così trito e liso, che sembra la sbiasciatura di una vecchietta che svende il rosario a una recita sfatta e indisponente. Non irritarmi: stupiscimi. Trova una frase ad effetto, che mi faccia sporgere avanti sulla sedia e magari interromperti per farti una domanda in più. Perché allora ti dimostrerò che mi hai preso, che hai catturato la mia attenzione. 




sabato 24 settembre 2011

L'analisi del cliente - Undicesima puntata

Prossimo post lunedì 26 settembre



Quindi, insieme ad Irene cercai di assemblare quella traccia, ritagliata sulle possibili aspettative del Parioletti, che mi avrebbe permesso di rispondere alle sei domande inespresse del cliente. Già perché ogni cliente, sia che ti abbia chiamato sia che sia stato in qualche modo convinto dalla tua capacità a riceverti, nel momento in cui ti vede si pone inevitabilmente sei domande alle quali si attende risposta nei primi momenti dell’incontro.
Perché, comunque sia, qualunque sia la situazione, noi sottoponiamo ad un giudizio inappellabile la persona che incontriamo, anche se talvolta questo viene nascosto al nostro conscio da una educazione morbida e suntuosa. La quale ci fa affermare che dobbiamo sempre cercare di capire gli altri e dare loro una seconda possibilità. Il che, tra le righe, già esprime la valutazione che la prima possibilità è stata sprecata.
Non voglio certo negare che lo sforzo di entrare in empatia con l’interlocutore non sia spesso premiato. Certamente è importante, ed utile, sporgersi verso l’altro, sospendere il giudizio e mettersi realmente all’ascolto. (nota: sono perfettamente consapevole di avere messo in fila nell’ultima frase più luoghi comuni di quanto Moratti non abbia assunto allenatori all’Inter. Conto sulla capacità di infrangere la barriera della banalità per addentrarsi nelle caverne del significato).
Importante ed utile sì, ma non deve diventare un alibi. Perché è questo che spesso capita. Se una relazione non funziona si tende ad attribuirne la causa all’insensibilità dell’altro, spesso adducendo come conferma il turbamento della propria sensibilità, che si ritiene accesa e inesauribile. Di fatto si rivela così solo la presunzione di chi declina la delicata emotività esposta all’ambiente solo alla prima persona, esponendo alla condanna degli altri un egoismo aggravato dal fatto di essere ignoto all’ego stesso. Egoista ignorante.
Per questa ragione chi ha a cuore la costruzione di un amore –ma sì, chiamiamola così per allinearci a Ivano Fossati- non deve avere paura di veder “tremare le vene e i polsi” e deve essere in grado di abbandonare i propri schemi per addentrarsi con coraggio nel territorio dell’interlocutore. Magistrale la sintesi con cui uno scrittore comasco, morto anni fa, descrisse l’essenza della comunicazione limitandosi a ribaltare un luogo comune, una di quelle frasi lise e insipide che si ripetono per riempire i silenzi stirati, dandole così una forza violenta nuova e squillante: “lo dica pure con parole mie”. Davvero Pontiggia era letterato capace di spremere le parole per distillarne il senso celatovi dalla sapienza primitiva.
Ne consegue quindi che diventa irrinunciabile dare risposte immediate alle sei domande del cliente, così da iniziare quel percorso che, attraverso l’apertura di un credito di fiducia, potrà condurre al paradiso di ogni venditore: la tanto agognata, e spesso fraintesa, partnership. Che nel mondo commerciale di oggi ha assunto il posto di quella che nell’immaginario medioevale era l’araba fenice: che ci sia ognuno lo dice, dove sia nessun lo sa.
Ma quali sono queste sei famigerate domande che ogni cliente, -oso: ogni persona-  si pone nel momento in cui conosce, o è costretto a conoscere, per la prima volta un nuovo interlocutore?