lunedì 28 novembre 2011

E alla fine arriva Pedretti

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Capitolo sesto

Lunedì mattina. In macchina. Sulla strada per la Pedretti, prestigiosa azienda di rubinetterie nel comparto di Borgomanero. Sono tutte là le rubinetterie. In uno di quei paesini c’è anche il museo del rubinetto. Devo incontrare il signor Giorgio Pedretti, terza generazione di imprenditori.  Me lo sono sognato questa notte.
Non mi capita spesso. Di sognare potenziali clienti intendo. Con il sonno, e il sogno, ho un rapporto idilliaco e sottomesso. Cedo loro senza nemmeno opporre minima resistenza. Sì, lo so, in questo sono un tipo facile: mi lascio sedurre all’istante. A volte mi addormento nel tragitto che la testa compie per atterrare sul cuscino. E dormo, con la medesima facilità, in ogni circostanza e luogo. Fusi orari? Mi fanno un baffo. Aerei o treni? Perché fare lo schizzinoso! Hotel, pensioni, camere in affitto, casa mia? Tutto fa sonno.
E con la medesima facilità passo dal sonno alla veglia. Beh, magari con un po’ meno di facilità. A volte è come se mi strappassero il sonno dalla faccia, ed è operazione che fa un po’ male, perché ti lascia lì, a metà del ponte che di solito percorri di corsa, per uscire fuggendo dallo stato di incoscienza e approdare, con un senso di salvezza e soddisfazione, nel territorio della razionalità, che per me ha una grande importanza. La sveglia, quelle rare volte che suona anticipando il mio risveglio naturale, mi congela come un faro improvvisamente sparato sulla mia corsa tra i due estremi del ponte. E mi rende più difficile recuperare la piena lucidità.
Allora i primi secondi sono una rissa tra i sogni che mi strattonano pretendendo che li traduca in vita, che li sottragga alla dimensione mistica di profezie o di grida dell’inconscio che vogliono mettermi in guardia da depositi incrostati e dimenticati in qualche polveroso angolo del mio animo da dove possono comunque percolare il loro veleno, inavvertito, nella quotidianità, e la mattina che mi viene incontro a sirene spiegate, a luci squillanti, e non chiede, afferma. Perché i sogni comunque sono un dono, anche quando imbarazzano parlando di donne che non devono avere posto nella tua vita, e che spezzano il rigido controllo, fondato sull’amore, che nella veglia razionale raramente si sbreccia. Ti lasciano in eredità pensieri che è spreco dimenticare e non degnare di una riflessione, anche di sbieco, tra un caffè e uno sguardo al cielo che oggi sembra voler riempire il mondo tanto è blu, tanto è teso e lucido, ventoso, tiepido, stirato.
Vincere queste battaglie rassicura.

lunedì 21 novembre 2011

Una cena animata

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La cena fu animata come sempre. Quando restammo soli Laura ed io le chiesi finalmente della sua giornata. Oltre a darmi una mano con l’amministrazione e ad andare in aula qualche volta, Laura gestisce con una socia, Rossella, alcuni asili nido in franchising.
“Oggi ho avuto la mia solita dose di pazzie genitoriali. Ho dovuto rimandare a casa un bambino che aveva la febbre. E sai che cosa mi ha detto il padre? Che l’aveva visto un po’ spento, ma che aveva insistito tanto per andare all’asilo che aveva dovuto accontentarlo. Il bambino ha diciotto mesi. Parla a fatica!”
“Si inventano di tutto ormai. E come ha reagito il papà?”
“Si è un po’ seccato sulle prime. Non sapeva dove lasciarlo, questo era il problema. Ma noi non possiamo proprio tenere bambini con la febbre. Per rispetto per lui e per gli altri bambini del nido. Poi mi ha scritto un’altra tizia: voleva informazioni sugli orari e sul sistema pedagogico adottato. Ma lo sai il bello? Non ha ancora un bambino!”
“E quando nasce?”
“Non è neanche incinta! Si stava informando. Capisci? Programmano tutto. Prima ancora di pensare ad un figlio si informa sugli asili nido della zona”.
“Capisco la previsione. Questa però mi sembra un po’ eccessiva”.
“Ce ne sono a manciate di situazioni folli come questa. Ti ricordi di quella signora quarantenne che finalmente era riuscita ad avere un figlio? Mi disse che se lo voleva coccolare proprio questo bambino che aveva aspettato così a lungo. Che voleva goderselo. E che avrebbe fatto delle rinunce sul lavoro, nonostante ricoprisse un ruolo di grande rilievo. Venne da me due settimane dopo aver partorito. Era appena dopo Pasqua. Mi chiese da che età prendevamo i bambini. Quando le risposi che prima dei due mesi era difficile, mi chiese subito se potevamo fare una eccezione. E a raffica chiese gli orari perché pensava di lasciarcelo dalle otto del mattino alle sei di sera. E fortuna che voleva stare con lui! Ho fatto molta fatica a non dirle in faccia quello che pensavo”.
“L’avete preso?”
“Si capisce! E’ con noi dai primi di maggio. E’ rimasto tutto luglio. Ci manca che chiami mamma la Maria! E’ stato più con lei che con la madre. Che poi è apprensiva come poche. E quanto latte ha mangiato. E la cacca. E il riposino. Ha Non ha ancora sette mesi. Quando andrà a scuola, non vorrei essere nei panni degli insegnanti”.
“E’ quel genere di genitore che si lascia comandare dai figli”
“Già come quella che ha il figlio di poco più di due anni e che gli lascia gestire la casa. Mangiano quando lui ha fame. Guardano insieme la televisione e quando lui ha sonno, ordina di spegnere e vanno tutti a letto. Insieme. Nel lettone”.
“Poi sono quelli che ti ritrovi in azienda trent’anni dopo e che distruggono ogni forma di collaborazione”.
Restammo in silenzio per un po’ a guardare la notte che scendeva lieve.
“Domattina c’è la riunione a scuola” riprese Laura.
“E’ un’occasione per incontrare un po’ di amici”, sospirai. Mi sentivo così stanco che il pensiero dell’incontro mi pesava addosso come una lastra di piombo.
“E poi c’è sempre da imparare dalla Mariolina. E’ proprio brava”.
“Qual è il tema della relazione?”
“La relazione tra genitori e figli adolescenti”.
“Eh sì, c’è sempre da approfondire. A proposito…”.
Iniziammo a parlare dei figli mentre caricavamo la lavastoviglie. Poi finalmente il letto dove vedere un telefilm. Laura si addormenta sempre prima della fine così mi tocca raccontarle chi era l’assassino e come l’hanno scoperto. Qualche volta però si sveglia prima della conclusione e sembra che non abbia perso neppure una inquadratura: questo significa che è molto brava a cogliere le trame. O che gli sceneggiatori scrivono storie banali e scontate.

giovedì 17 novembre 2011

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Nella mia pausa pranzo, dopo una frugale insalata –l’insalata è sempre frugale, è ricca solo negli States dove la parola “salade” tende ad indicare tutti quei cibi gustosi e grassi che si lasciano accompagnare da tracce quasi inavvertibili di verdure giusto per scaricare i sensi di colpa degli avventori- e un caffè forte, mi concessi una pipa mentre riposavo la mia mentre saltabeccando dai blog e dalle pagine più divertenti della rete. Anche istruttive si intende, come marketing low cost venditareferenziata, o Alessandra Colucci. Decisi di concedermi una deviazione più culturale con Costanza Miriano oltre che ovviamente il sito ufficiale di prof 2.0 e della Prof. Milani. Poi passai alla posta, in quella transizione che collega lo svago intelligente al lavoro meno impegnativo.
Tornarono le ragazze, scambiammo parole veloci e ilari, per facilitare il passaggio al silenzio professionale. Riuscii a troncare senza sbavature la conversazione e mi rifugiai nel mio ufficio, mentre Irene mi ricordava che si sarebbe messa subito al lavoro per il Parioletti.
Meno di tre ore dopo la proposta era completata. Perfetta.  Guardai fuori sollevando lo sguardo dal mio Mac. Lo spicchio di cielo che riuscivo a vedere era terso e uniforme, anche se i bordi slabbrati iniziavano a cambiare colore. Pensai alla settimana che stava finendo e alla prossima, che avrebbe potuto portarmi una serenità più liscia. Lunedì avrei incontrato prima il cliente che avevo contattato via mail e poi nel pomeriggio avrei presentato la proposta a Parioletti. Una giornata che poteva cambiare il corso delle cose rimettendo in rotta la nostra barca. Dovevo fare lo sforzo di staccarmi dal lavoro per tutto il fine settimana, per non rovesciare sulla mia famiglia tensioni che non meritavano.
Ringraziai Irene per il lavoro, mi sorrise in risposta, poi scambiai le classiche parole del venerdì sera con tutte e tre le ragazze, facendo il punto della situazione. Marina mi disse che aspettava lunedì la risposta da un altro potenziale cliente, un contatto vicino a Roma, un’azienda alimentare che aveva contattato partendo da un articolo su un settimana economico. Mi chiese le disponibilità per poter organizzare un viaggio, mettendo insieme anche un altro potenziale progetto con una azienda che produceva macchine per la perforazione di tunnel. Guardammo insieme il calendario e ipotizzammo un paio di date più probabili.
Poi, insieme, le tre ragazze se ne andarono lasciandomi solo ad aspettare il fine settimana.

lunedì 14 novembre 2011

Executive summary

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“Dunque, rivediamo l’impostazione della proposta. Iniziamo dall’executive summary. Una pagina massimo, meglio mezza, con un riassunto chiaro e affascinante per il Parioletti. Anche se penso che, visto il tipo, se la leggerà tutta. Meglio però prevedere la possibilità che legga solo questa prima pagina. Poi la descrizione della situazione attuale, facendo spesso riferimento a frasi e fatti citati dal cliente. Come sempre ho preso appunti e ho segnalato i punti chiave che mi hanno sottolineato. Terza parte: dove vogliamo arrivare. Una descrizione breve e colorita del punto di approdo, la visione che vogliamo rimanga loro in mente. Questo è l’elemento determinante: se riusciamo a far vedere loro dove possiamo condurli siamo a tre quarti della strada. Quindi il percorso: le tappe che intendiamo seguire, ben suddivise nelle varie fasi che corrispondo a differenti servizi che intendiamo proporre loro. Per ogni fase indicare il risultato concreto, così gli facciamo capire che non sono obbligati ad arrivare fino in fondo prima di raggiungere un obiettivo. Se li vincoli ad un progetto troppo ampio si spaventano e non firmano. Bisogna tranquillizzarli: possiamo procedere per gradi anche per migliorare la reciproca conoscenza e possono sganciarsi in qualunque momento avendo un prodotto intermedio valido e utile. Infine la parte relativa all’investimento. Per adesso quotiamo solo le prime due fasi e specifichiamo che per le altre è necessario prima raccogliere informazioni che scaturiranno dalle prime analisi. Così è sicuro che non stiamo cercando di attaccarci a loro come delle sanguisughe per prosciugarli. Tra l’altro non è nel nostro stile. Ma loro non lo sanno ancora. Vuoi provare a stenderla tu e poi la rivediamo insieme o preferisci che prima esaminiamo gli appunti?”.
Irene mi guardò con pazienza. Scosse la testa.
“So bene come prendi nota: ce la posso fare da sola. Anche questa volta”.
Ahi, un pizzico di fastidio nella sua voce: forse ho punto il suo amor proprio. Non volevo. Mi capita.
“Certo. Non avevo il minimo dubbio”, provai ad aggiungere. “adesso però andate tutte a pranzo, ci metti mano dopo, quando rientri”.
Mi guardò come per sottolineare nuovamente la sua completa autonomia. Questa volta voltai veloce il viso per non dover ribattere.

giovedì 10 novembre 2011

L'aiuto di Irene

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Chiesi aiuto ad Irene: sicuramente amo scrivere una proposta personalizzandola così da far capire, anche nel testo, che è mia intenzione mantenere la promessa di essere vicino al cliente e di essere… committed…
Aperta parentesi. Ora è necessario una precisazione: detesto usare termini non italiani quando non ce ne è bisogno. Fa cafone, come il diamante secondo Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. Ma è anche vero che c’è una ricchezza nelle lingue che sarebbe da sciocchi sprecare. Ora committment, e i suoi derivati, è una di quelle parole che non riesco a tradurre senza tradire, senza asciugarla non dal grasso che la rende esagerata, ma dalla linfa che le dà vita. Perché commitment è molto più che impegno, è dedizione anche fisica, avvolgente, intensa. Uno sforzo senza fine, senza limiti, senza riserve.
E’ questo che dice la nostra promessa: siamo… commited ai vostri obiettivi. Chiusa parentesi.
Torniamo a noi. Dicevo che mi piace personalizzare le proposte, ma senza farmi male. Se esistono delle parti ripetitive, inutile inventare l’acqua calda ogni volta. Taglia e incolla. Con giudizio.
Chiesi quindi ad Irene da quale altra proposta potevamo partire per redigere l’offerta che avrebbe potuto farci veleggiare verso nuovi lidi.
E insieme controllammo l’indice.


lunedì 7 novembre 2011

La cananea insegna

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Capitolo quinto

Arrivai in ufficio intorno all’ora di pranzo. Che è un’ora affascinante per segnare un nuovo corso. Ci si può giocare. 

Mezzogiorno di tuono. Meglio: mezzogiorno di poco. 

Un poco ancora per trovare la strada giusta. Salutai Irene; Simona e Marina che attendevano con ansia il mio resoconto, avendo chiaro anche loro, Irene in modo più acuto, che il futuro della nostra compagnia era in buona parte connesso al successo dell’incontro della mattina.

Mi gustai il silenzio che precedette la mia affermazione di ottimismo. Perché in quei silenzi c’è spesso il senso delle cose. Non dico della vita, perché sarei più imputabile di presunzione che di ottimismo, e passerei per un millantatore invece che per un filosofo facilone. Ma il senso delle cose sì, perché dilatare quell’istante nel quale le speranze possono implodere generando disperazione o, scoppiettando, trasmutarsi in certezze, quell’istante merita di essere onorato e soppesato. 

E’ intriso di una forza speciale che dovrebbe condurci nelle profondità di noi stessi, per scoprire fino a dove realmente arriva la nostra fiducia in Dio, o comunque nel fatto che esista un senso, un destino positivo, capace di guidare i fatti così da farci beneficiare comunque, qualunque cosa capiti. 

In effetti, se la nostra fede fosse al di sopra del minimo sindacale, di quella misura scarsa e limitata che ci consente solo di affermare una blanda categoria dello spirito; se la nostra fede fosse davvero salda e cieca, sovra razionale, quindi non emotiva ed effimera, ma incrollabile perché costruita sopra e oltre la ragione; se la nostra fede fosse come quella della cananea più che quella di Giobbe, allora realmente sapremmo cogliere in ogni situazione il bene che ci sta nascosto, magari in profondità come un tesoro su un isola caraibica. 

E quindi la nostra domanda non sarebbe più “perché a me?”, interrogativo che lungi da chiedere una risposta, afferma una minaccia, ma “che cosa ci devo leggere?”. 

Per fortuna Dio, o chi per esso, conoscendo le nostre debolezze agisce in due modi: spesso ci mette in condizioni di ringraziare, lasciandoci accedere a sentiero apparentemente più desiderabile del bivio; altrimenti ci fornisce, direttamente o per interposta persona, suggerimenti su come leggere il messaggio cifrato.

Gustai il silenzio e poi mi espressi così: “direi che abbiamo ottime possibilità. Ho fatto una buona impressione. Devo preparare una offerta per lunedì. Ce la possiamo fare”.

Ricevetti in cambio rumori e parole di soddisfazione e di elogio, che sapevo di meritare e che mi fecero piacere. Anche i capi vanno elogiati qualche volta. Anche i capi hanno bisogno di sentirsi riconoscere il merito. Di aver fatto qualche cosa bene. Io ne ho bisogno. Stop.

giovedì 3 novembre 2011

Una questione di controllo

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Pratico ed essenziale. Decisamente un direttivo puro. Necesse rispondere nel medesimo modo:

“Partiamo. Per farlo ci restano due passaggi da esaurire al più presto. Primo: le preparo una proposta di investimento, così che possiamo accordarci sul reciproco impegno. Secondo: fissiamo il calendario per la fase iniziale di analisi. Se è d’accordo vengo da lei  lunedì per presentarle la mia offerta”.

“Se non mi costa troppo, si intende”.

Non è che lo pensi veramente, è che deve far vedere che il controllo ce l’ha lui, e che la decisione la prende lui. Non vuole sentirsi forzare. Corretto e comprensibili visto lo stile. Per questo sorrido, lo guardo fisso negli occhi e rispondo:

“Certamente. Sono sicuro che la proposta che le porterò la prossima settimana sarà in linea con quanto mi ha fatto notare fino a qui e con ciò che si aspetta per gestire un progetto come questo”.

Taccio, lascio che il silenzio si spanda tra di noi per permettere a chi vuole di prendere la parola e aggiungere quello che eventualmente manca. Non lo fa nessuno. Immaginavo.

“E’ stato un buon incontro: mi aspetto di incontrarla per discutere la sua proposta allora”,
dice alla fine Parioletti. E’ il segnale del rompete le righe. Si alzano tutti. Anch’io. Gli stingo forte la mano, sempre sorridendo.

Sono fuori. Sono riuscito a trattenermi fino ad ora da lanciare un grido di gioia che spacchi il cielo, che solchi questo azzurro ottombrino che stinge di fresco il mio futuro prossimo. Una grande occasione. Non posso sciuparla.

Poco più di un anno fa. Chiusi i miei pensieri nell’abitacolo della mia auto e mi precipitai in ufficio per preparare l’offerta. 

Se avessi saputo. Se avessi capito che mi avrebbe portato qui, oggi, adesso….. 

L’avrei fatto ugualmente.