lunedì 27 febbraio 2012

Sì, ma



“Sì, ma.. quindicimila sono quindicimila!”
“Che cosa la preoccupa dr. Parioletti?”
“Beh che lei non riesca a farcela, non dico per demerito suo”.
“Quindi mi sta dicendo che non intende assumersi il rischio imprenditoriale da solo?”.
“Certo, io sono qui a rischiare e lei, lei comunque vada porta a casa… non mi pare equo”.
Siamo passati al secondo livello, quello dell’equità: dopo l’aggressione, la tattica negoziale passa ad usare lo stato della relazione come strumento persuasivo. Adesso mi sta dicendo che non sono corretto e buon amico se lascio rischiare solo lui.
“Capisco il suo punto di vista. E’ ragionevole mostrare un intelligente scetticismo, non basato sulla sfiducia, ma sull’imprevisto. Un altro modo per vedere la situazione può essere questo: se il raggiungimento insoddisfacente dei risultati non dipende dalla mia professionalità, che quindi è all’altezza delle sue aspettative, ma da imprevisti, o da condizioni variabili del mercato, non ritiene equo che il mio impegno venga comunque riconosciuto? Quando la sua struttura con la massima efficienza e competenza organizza un evento e questo per ragioni indipendenti dalla sua volontà, non risulta completamente in linea con le aspettative del cliente, forse è costretto a ridurre la cifra l’investimento richiesto al cliente? Sarei sopreso se fosse così”.
“No, ma che c’entra. Il nostro lavoro…” inizia. Poi si ferma, vede che lo guardo sorridendo. E tenta la terza carta negoziale.
“Senta. Io voglio lavorare con lei. Mi venga incontro. Posso garantirle che questo è il primo pezzo di un progetto molto più ampio. Dimostri di tenere al futuro e mi faccia una riduzione e vedrà che lavoreremo a lungo insieme”.
Terza fase: sei il mio eroe, fai il bravo e non ti lascerò più. 

giovedì 23 febbraio 2012

Quindicimila euro più le spese




“Quindicimila euro più le spese”.
“Lei è matto. Lei non ha capito”.
Sorrido e resto in silenzio. Una delle tattiche negoziali più comuni è quella di cercare di provocare. Con una aggressione verbale. Come questa. Quindi tacere. Lascialo andare avanti. Il silenzio è difficile da reggere. Infatti:
“Ecco, vede. Non ci siamo mai avvalsi di consulenti in precedenza. Non ne abbiamo mai avuto bisogno. E anche adesso onestamente. E quindi non ho certo una cifra a budget di questa entità. E’ un costo che non riesco a giustificare….”. Adesso è lui a tacere. Mi guarda fisso. Attende che io gli dia ragione.
Delle due l’una: o anch’io sono convinto che sto sparando alto, e allora lo si leggerà nella mia voce, oppure ho la certezza di fargli un piacere, e allora terrò duro. Spesso si cade proprio su questo: quando il cliente spara “è troppo caro!” il venditore dentro di sé si accascia e pensa: “mi ha beccato! Lo dicevo anch’io che avevamo esagerato. Se ne è accorto!”. Se pensi così sei andato, sei fuori.
Io ci credo. E ho fame. Ho la necessità di tenere a galla la barca. Non mollo per una tecnica negoziale così banale.
“Come le dicevo, neppure io saprei giustificare un costo così. Infatti quello che le sto proponendo non è una uscita di denaro. E’ un investimento. E’ la strada più diretta per affrontare i problemi che lei ha riconosciuto come prioritari e incrementare sistematicamente i margini. Capisco che lei non mi conosca e che possa prendere queste mie parole come una millanteria. Per questo lei si è fidato del dr. Magnaga che le ha proprio riferito il vantaggio economico che ha ottenuto dalla nostra collaborazione”. 
“Sì, ma…” abbozza. I suoi lo stanno seguendo attenti: si sono sporti in avanti.

domenica 19 febbraio 2012

Ma allora quanto costa?




 “Bene dr. Parioletti, allora quello che farei per risolvere il problema e aumentare i profitti è lavorare su due piani paralleli:

1.     Aumentiamo i prezzi lavorando sul posizionamento e la percezione della qualità di HAL tramite l’azione dei venditori
2.     Tagliamo le inefficienze che fanno spendere di più e perdere occasioni di riduzione di costi con i fornitori esterni.
 Che ne dice? Le sembra che questa sia la direzione da prendere?”.

Riflette: dal brillio degli occhi so che è d’accordo e che anzi è soddisfatto del lavoro fatto si qui. Aspetta perché crede che così può conquistare potere negoziale. Infatti, dopo aver ben riflettuto, cercato le parole, mi risponde:
“Certo. Non mi sembra peraltro che sia un colpo di genio. Che cosa potremmo fare di diverso?”.
“Sono d’accordo con lei, dottore. Una volta chiarita la situazione di partenza, capire la strada da prendere è stato facilissimo”. Giochiamo di fioretto: ha capito benissimo che cosa intendo dire. Prima che glielo facessi dire, che lavorassi con lui nell’incontro precedente, non sapeva neanche qualche fosse il loro problema. Sapeva solo che non guadagnava quanto desiderava. Facciamogli capire che gli sto già dando del valore aggiunto. E’ costretto ad annuire, con un leggero e deciso cenno del capo.

“Bene, dunque a questo punto ecco come intendo procedere:
1.     Dobbiamo capire quale sia il processo di vendita, non solo nella sua struttura, ma anche nelle relazioni e nella comunicazione che avviene tra venditori e clienti. Questo serve per capire come migliorare non soltanto nel modo di affrontare la vendita e di posizionare HAL, ma anche per capire come ridurre i costi delle fasi connesse;
2.     al contempo studieremo che cosa avviene internamente un volta che il cliente è stato acquisito e si passa alla fase operativa.
Tutto questo impegnerà circa una decina di giorni di lavoro tra incontri con le persone che voi mi indicherete per raccogliere i dati, affiancamenti con i venditori per capire come agiscono a fronte cliente, analisi dei dati ed elaborazione di una fotografia e piano di azione conseguente. In meno di un mese saprà esattamente come fare per aumentare i profitti. A quel punto sapremo anche quali strade prendere e quali priorità scegliere per tradurre in realtà il miglioramento dei margini.
Nel documento trova i dettagli di questi due filoni di indagine che spiegano e giustificano come agiremo.”

“E adesso che cosa costa me lo dice?”.

giovedì 16 febbraio 2012

La colpa e il benaltrismo




“Come ci siamo detti nel nostro incontro, l’obiettivo del progetto è di incrementare i margini. Abbiamo visto come sia opportuno capire con dettaglio quale sia il processo che porta dal contatto con il nuovo cliente alla gestione della rendicontazione post evento fino alla fidelizzazione. In particolare ci siamo detti che  una delle priorità da affrontare è quella del passaggio di consegne”.
Interrompe. “Va bene questo lo so. Venga al dunque”.
Questa è una debolezza: cerca di fregarmi fingendo che sa già tutto in realtà mostra solo una accesa curiosità per la soluzione. A questo punto devo procedere secondo lo schema per superare le resistenze:
1.     Concordare il problema: mettersi d’accordo su quella che è la difficoltà da affrontare
2.     Concordare la direzione della soluzione: ottenere l’assenso sulla direzione da privilegiare
3.     Concordare la soluzione: mostrare come la soluzione proposta è in grado di gestire anche gli effetti collaterali
Iniziati dunque a descrivere la situazione incasinata così come l’avevano descritta loro nell’incontro precedente.
“Certo dr. Parioletti: ciò che vogliamo superare è la riduzione dei margini. Dobbiamo lavorare su due aspetti per far crescere i profitti: da un lato migliorare la percezione che i clienti hanno di HAL così da non indirizzare le trattative solo sullo sconto, che è un problema che sentite assillante, così mi avete detto. E poi ridurre i costi, specie quelli derivanti dalle inefficienze interne dovute ad un livello di collaborazione non adeguato. Le sembra che questo identifichi la situazione di partenza e l’essenza del problema da superare?”.
“Uhm. Sì.”, grugnisce in risposta. Alzando appena le labbra che si torcono curvando gli estremi verso il basso in una simulazione perfetta della faccina scontenta. Se fossi Carl Lightman di Lie to me esclamerei che questa è una dichiarazione controfirmata di sconforto. Sa bene che questo è il problema. E lo imputa all’incapacità dei suoi uomini.

lunedì 13 febbraio 2012

Costa troppo


“Costa troppo” mi ha appunto risposto, quasi schiantandosi sulla sedia, come se l’avessi pugnalato di nascosto. Il suo viso era una maschera digitale sulla quale due espressioni si alternavano a rapidità impressionante: la delusione, come per essere stato tradito, e la stizza per sentirsi raggirato.
I due angeli custodi ovviamente tacevano: Franchi, il direttore operativo, tiene il viso abbassato, non so se prova più vergogna per la sceneggiata del suo capo, che deve ricordargliene altre simili con lui imputato, o se per cercare qualche colpo ad effetto che faccia aumentare la stima del Parioletti. Lei, la Lucchini, come venere imperturbabile, mi fissa con un’aria birichina che sembra rimproverare dolcemente “non me lo faccia arrabbiare dai, che poi una soluzione la troviamo”.
“Ha ragione” dico io soprendendo tutti. “Infatti come vedrà non è questa la cifra che le propongo di investire per valutare i vantaggi economici che questo progetto può produrre”. Sto rischiando molto, lo so: mi è venuto così, di dirgli una cifra a caso. Beh non proprio a caso.
“Mi sta prendendo in giro?” soffia il Parioletti.
“Dottore, e come potrei mai? Le ho indicato la cifra che il progetto potrebbe raggiungere globalmente, l’investimento globale dei primi sei mesi se e solo se l’intervento iniziale dimostrerà, come sono convinto, di dare frutti molto più abbondanti in termini di margini operativi. A quel punto non si tratterà più di quanto si investe, ma quanto questo investimento rende e in che tempi. Non le pare?”
La domanda mi è venuta bene: adesso lascio a lui la sentenza. Mi sono messo nelle sue mani. E ogni re, per quanto severo e giusto, non può non avere una vena di misericordia. Basta non appellarcisi in modo tronfio, sguaiato, plateale.
Infatti abbozza un sorriso, alla Bogart appunto, e finalmente dice, mentre le due figure ai suoi lati sembrano stirarsi e accendersi di speranza: “Mi faccia vedere che cosa ha preparato”.
Notato bene il “mi faccia” che è molto diverso da “ci faccia”?
Si comincia.

giovedì 9 febbraio 2012

Si inizia a negoziare



Capitolo ottavo

“Costa troppo”.
Era scontato. Che avrebbe comunque detto così. Fa parte del ruolo. E di una certa ignoranza molto diffusa. Non dico che tutti gli imprenditori italiani siano ignoranti: ci mancherebbe altro! Ci sono molti veri geni tra di loro: di quella genialità che sovrasta la logica perché scardina l’analisi, la razionalità per esaltare l’intuito. Come se fosse possibile aggrapparsi ad un raggio di sole per inseguirne la curva e vedere con occhi diversi tutto il creato fino ad inventare qualche cosa di nuovo.
Chapeau! Li invidio di quella invidia bianca, sana, depurata dalla rabbia.
C’è però che poi nel momento in cui scendono da quel raggio di sole, si calano in testa il cappello del duro, come se ci dovesse essere un Humphrey Bogart al comando di ogni azienda. E devono sempre far vedere chi comanda. Non solo: ma ritengono spesso che l’esercizio di questa facoltà si attui in modo specifico nella gestione del denaro. Ecco perché qualunque proposta costa sempre troppo.
Non mi ha lasciato quasi neanche sede il Parioletti, ha iniziato a chiedermi “quanto mi prende?”.
Ho risposto da manuale: “Guardi, l’investimento che le indicherò alla fine è ampiamente recuperato nell’arco dei primi due mesi, secondo il piano che le vorrei illustrare”.
“Sì, ma quanto mi costa!” ha insistito.
“Se permette vorrei riservarmi di svelare l’investimento richiesto dopo averle, brevemente si intende, raccontato come metterlo a frutto e quanto guadagno può produrre”.
“No. Mi dica prima quanto vuole”. Lo ha detto sporgendosi in avanti e tirando i lineamenti, come a voler assumere ancora di più il controllo della situazione. Ricordo che pensai “adesso o si accende una sigaretta sotto il cappello a falde larghe che estrae con colpo teatrale da sotto il tavolo, o mi prende a cazzotti”.
“50.000 euro”, ho allora sparato: a voce alta, senza abbassare lo sguardo. È lì la prima vittoria: se mostri di avere quasi vergogna per ciò che stai chiedendo sei finito. 

lunedì 6 febbraio 2012

I furti del Duemila


Prossimo post Giovedì 9 febbraio


Che cosa ci aveva portato infatti il Duemila se non la rapida fine delle sicurezza in meno di dieci anni. Che le crisi succedutesi erano proprio lì per scrollare l’albero del vatuttobene al quale ci eravamo abbarbicati con violento e insano desiderio. Che cosa ci aveva sottratto?
1.   La sicurezza economica, che ormai sapevamo in balia di fattori incontrollabili, ai più per lo meno.
2.   La sicurezza finanziaria, con risparmi di una vita esplosi in una qualcune delle bolle recenti: e-commerce, immobiliare, bondargentina.
3.   La sicurezza sanitaria, con febbri aviarie e suine e chissà che altro, che ci mancavano solo quelle floreali per metterci a terra.
4.   La sicurezza che la natura fosse nostra alleata o per lo meno sodale, mentre invece continuava ad attentare a noi con scrolloni e inondazioni da ogni lato.
5.   La sicurezza tout court, che c’era da ringraziare se il sole fosse calato sul pianeta senza lo che sfregio di un attentato avesse insultato il giorno, e ogni mattina uscivi con dentro l’ansia, sommessa e nascosta, che alla sera potevi contarti e mancava qualcuno.
Questo era il mondo che ci aveva regalato il nuovo splendido millennio. Glielo avrei restituito volentieri in cambio dalla rassicurante piattezza degli anni Settanta.
Eppure, in questo mondo impossibile, per dirla con Memo Remigi, che pochi sanno chi sia ma Wikipedia può aiutare, ora vedevo un filo, un sentiero. Una voce mi sussurrava, modesta e coraggiosa, che cera comunque un senso, e una via d’uscita.
Per questo baldanzosamente attraversai la strada, sorridendo mi presentati, e con calore salutai Parioletti e i soliti due che mi attendevano per la presentazione della mia proposta.

giovedì 2 febbraio 2012

Qui sarebbe cambiato qualche cosa


Prossimo post Lunedì 6 febbraio


Poi tutto scomparve nel momento in cui una coppia vociante venne a sedersi nel tavolo alle mie spalle discutendo di non so quale impegno di lavoro.
Mi alzai, e bevvi il caffè direttamente la bancone. Mancavano dodici minuti all’appuntamento con Parioletti. Pagai. Rimasi immobile al centro del locale, fingendo di guardare nel portafogli, mentre in realtà cercavo di trovare in me la forza per affrontare ciò che sarebbe successo di lì a poco.
Perché sentivo che qui sarebbe cambiato qualche cosa. L’incontro recente con Pedretti, mi sembrava stessero indicando una strada, una via di fuga da quel deserto che la crisi finanziaria aveva steso intorno a me. La crisi finanziaria poi, a pensarci bene era da quando avevo intrapreso la libera professione e messo su il mio studio da consulente. Perché questo millennio, così atteso da celebrarlo con sfarzi da satrapi orientali di prima di Cristo, sembrava essere stato più tarlato dal millennium bug che non dalle danze sui resti del muro di Berlino. Invece che liberare la fantasia e lanciarci verso un futuro senza più barriere, sembrava roso dentro da un verme che ne risucchiasse l’anima. Perché questa era l’impressione del primo decennio: una scorza vuota che implode lentamente su un nucleo che marcisce senza consapevolezza.