lunedì 12 marzo 2012

Che cosa ho imparato?



“In che senso?” mi chiede quasi sdegnato. Cerco le parole giuste, ma prima ancora cerco lo sguardo con il quale rassicurarlo, confermare che sono dalla sua parte, che anzi voglio aiutarlo a guardare con nuova speranza il futuro.
“Intendo dire: hai sofferto, si vede, e lo capisco e se potessi… ma non posso. Hai ragione, questi sono incompetenti e volgari e anche in malafede. Lo capisco. Dobbiamo però spremere da ogni cosa il buono, da ogni cosa ciò che serve a noi. Allora, che cosa ti porti a casa di buono da questa vicenda, che cosa può esserti utile per non ripetere più questa sofferenza?”
Rialza la testa e sospira, si massaggia il mento. Sembra pensieroso, ma sereno. Risponde.
“Mai fidarsi”. Non sembra astioso, però nei suoi occhi pare di scorgere un’ombra bianca, come neve che copre.
“In che senso?” chiedo, più per aiutarlo a superare questo rancore che per chiedergli di esplicitare. O forse perché è una risposta che non mi piace.
“Vedi, ho creduto a lungo nell’onore e per me una stretta di mano, e la parola, valevano più di mille contratti scritti. Specie con persone che mi erano state raccomandate da amici sinceri, o che credevo tali, e con le quali condividevo valori. Ora non più. Ora sono stato così segato a fondo da non riuscire più a credere. Prendi questi farabutti: moine e sorrisoni, locali tempestati di santini come ad ostentare una virtù che manca nella sostanza. E io invece mi sono fatto irretire convinto che quegli specchietti per allodole fossero solo il calore che traboccava. Ma quale!”
Gli sorrido, riesco a farlo tacere. Scuote la testa e la china.
“Capisco che cosa  vuoi dire. Ci sono molti più mentitori di professione che non persone affidabili. Non è facile trovare l’equilibrio tra il rispetto e la tutela, e noi siamo due che tendono a fidarsi per primi. Credo sempre che questa sia la strada migliore. Io vorrei però tornare all’aspetto professionale per aiutarti a fare punto e capo, a mettere a profitto, E così vi guadagno anche io, imparo qualche cosa di nuovo. Prendiamo l’investimento ad esempio: come hai potuto pensare di procedere su un piano così se avevano da mettere sul piatto una cifra così modesta?”.

giovedì 8 marzo 2012

E arriva la vergogna



 “Non è per lo smacco professionale”, mi sussurra adesso, con gli occhi arrossati, “sì, anche quello, ma io ho la certezza, corroborata dalla fiducia e dal sostegno di tutti coloro che ho incontrato in questo progetto, gente del settore, mica come questi incompetenti”. Scuote la testa.
“E’ per il rancore che provo dentro e che non riesco a vomitare fuori, per liberarmene del tutto. Questo mi fa male. Mi brucia dentro e consuma”.
Lo capisco, lo si vede dai suoi occhi nei quali si mescola sia il fumo sia il bruciore, così che sono lucidi non di commozione né di dolore, ma di tutto, insieme a rabbia e vergogna.
“Sì, vergogna”, mi dice come se avesse capito i miei pensieri, “perché non lo vorrei questo rancore, lo vorrei gettare a terra e calpestare, fosse anche solo per orgoglio, per quel senso di vanitosa superiorità che coltivo e che così spesso mi deride. Ma non ci riesco, e quando il pensiero incappa in schegge impazzite –una targa, un mozzicone di nome, una scarpa, un ricordo- e si incaglia in un pensiero che scivola all’indietro, mi sale alla bocca come un rigurgito acido e con esso quel pianto violento e ribelle. E soffro”.
Posa un attimo lo sguardo, come per trovare non so se riposo, slancio o nuove parole, e riprende con vigore, e più lucidità.
“Ma che cosa credevano, che si arrivasse a Times Square, si aprisse la bancarella e tutta la gente a correre per acquistare? O che bastasse fare il loro nome, uno confuso tra i tanti, quasi una brutta copia di quello più famoso, perché piovessero ordini? Acquirenti entusiasti con rotoli di banconote pronti a dare senza garanzie? Ma come fa uno a chiamarsi imprenditore se non fa questi conti dopo che aveva millantato di voler aprire negozi monomarca in tutto il mondo? Che non sa neanche che cosa è un business plan o una analisi di mercato?”.
Scuote la testa.
“Scemo io! Che ho creduto più alla mia voglia che alla loro affidabilità”.
“Ecco, e che cosa hai imparato da questo?”.

lunedì 5 marzo 2012

Il peso dell'amicizia




Capitolo nono

Pranzo con un amico per festeggiare il risultato ottenuto con in Parioletti. Con Ferdinando abbiamo condiviso tanti sogni e pochi risultati. Anche lui è consulente, e per certi versi concorrente, ma solo in modo marginale. E soprattutto c’è una amicizia profonda e datata che tiene lontano ogni rischio di conflitto.
Oggi lo vedo particolarmente depresso. E’ per via di un progetto nel quale aveva gettato cuore e passione e che gli è morto tra le mani per l’insipienza e la pavidità dei committenti.
“Ma ti rendi conto?” esclama con un dolore che gli cola giù dalle palpebre per quasi finire nel piatto che con pena finisce per alimentarlo “alla fine dopo tutti quei discorsi ho scoperto che non volevano investire più di 200 mila euro nel progetto. A fronte di un fatturato previsto a regime di 17 milioni di euro. Con un profitto di circa il 30% diciamo 5 milioni”.
Parla veloce come spinto da una rabbia che lo consuma.
“Vuol dire che contavano su un ritorno sull’investimento pari al 2500% in un anno. Neanche la mafia da dei rendimenti così!” mi urla confuso. Per arrivare ad affermazioni così forti deve davvero essere molto turbato.
“E’ che tutti pensano di fare meglio di te il tuo lavoro. Hanno una ignoranza che è pari solo alla loro presunzione. Credono che vendere, promuovere sia banale. E che ci vorrà mai…. Ci vuole intelligenza, saggezza, strategia. Imbecilli e cafoni. Ecco”.
Gli sorrido, cerco di calmarlo, annuisco con partecipazione. Conosco già la vicenda. Me l’ha raccontata più volte.  Si sono presentati con un progetto grandioso: profitti infiniti, il mondo come confine. Ferdinando se li è presi sulle spalle, li ha guidati e dopo quattro mesi di lavoro, di duro lavoro per affermare un marchio che non conoscevano nemmeno i vicini di casa del sito produttivo, i presunti imprenditori si sono resi conto che l’investimento cresceva e i ricavi erano ancora lontani si sono spaventati e da incompetenti hanno mandato tutto all’aria.
Prima sciupando per cattiva coscienza le relazioni importanti, poi cambiando la strategia senza senso. E adesso a Ferdinando, che credeva in quelle scarpe come nei suoi figli, è rimasta una eredità una causa perché, oltre tutto, questi infami non l’hanno neanche pagato.
La lezione è stata dura, anche per me, perché questa minaccia agita sempre il nostro futuro, che il saldo non è mai certo.
Provo con lui a riassumere la situazione per calmarlo e soprattutto per aiutarlo ad uscire da questo trauma, che lo ha segnato profondamente.

giovedì 1 marzo 2012

Dentro o fuori



Potrei scegliere di andare avanti nel braccio di ferro. Scelgo invece di calare l’asso della controfferta.
“Mi rendo conto del suo desiderio di lavorare a lungo insieme e gliene sono grato. La considero una dimostrazione di fiducia. Proprio per questo, e perché non abbiamo mai lavorato insieme, credo che sia possibile trovare una strada che soddisfi entrambi. Per lei è importante ridurre il budget di questo primo investimento e potermi conoscere meglio. Per me è importante consolidare il rapporto, e poter contare sulla soddisfazione dei clienti per farmi conoscere. Questo è quello che le propongo:
1.     una riduzione di circa il 25% in questa forma:
a.     intorno al 15% applicato a questo contratto
b.     10% come buono riduzione da applicare alla seconda fase di questo progetto
2.     in questo modo la cifra totale che investirà per questo progetto è di undicimila cinquecento euro: dei tredicimila che le fatturerò millecinquecento euro verranno recuperati nella seconda fase del progetto
In cambio le chiedo due cose:
1.     la fatturazione avverrà in due tranche: ottomila euro all’ordine e cinquemila alla consegna del piano di soluzioni, quando le fatturerò anche le spese
2.     se sarà soddisfatto del lavoro, come non dubito che sia, le chiedo di presentarmi ad un altro imprenditore che lei conosce così come Magnaga mi ha presentato a lei.
Che cosa ne dice? Lo trova equo?”
Parioletti si appoggia allo schienale della poltrona, incrocia le dita e arriccia le labbra. Guarda prima la sua assistente, a lungo, e questa la dice lunga sulle relazioni interne, poi gira lo sguardo verso Franchi e si toglie lo sfizio di sconfiggere qualcuno: “Franchi, lei e Caniato fate in modo che questo regalo che vi faccio non vada sprecato. Va bene. Sarà felice dr. Foresi, mi aspetto che faccia un buon lavoro. Quando comincia?”.