Prossimo post lunedì 16 gennaio 2012
“Esatto. C’è spesso una guerra di prezzi tra questi canali e bisogna
differenziare i prodotti”.
Proseguimmo a parlare.
Intravvedevo una strada e iniziavo a capire che cosa lo preoccupasse realmente.
Da un lato una forza vendita non all’altezza, dall’altro la gestione dei
magazzini. Bene. Su questo potevo realmente dargli una mano.
Si infervorò nella descrizione dei
suoi prodotti più recenti. Si alzò di scatto. Mi invitò ad andare con lui in
magazzino per toccare con mano quanto fossero ben fatti. Tenendo in mano un
rubinetto snello, che riusciva a trasmettere al contempo una sana impressione
di solidità insieme ad un a sensazione di lievità poetica, come se la canna si
confondesse con il getto d’acqua che avrebbe liberato.
“Vede questo prodotto da bagno? Lei non immagina neanche la sua storia.
Partiamo dall’acciaio. E’ stato colato in una fabbrica buia e puzzolente, dove
la temperatura raggiunge spesso valori insopportabili. Una specie di antro di
vulcano. I colori sono bruciati. Nonostante si tratti di costruzioni alte anche
parecchie decine metri, tutto
sembra schiacciato. Lì dall’alto forno sgorga la colata rossa che poi diventerà
acciaio. E siamo solo all’inizio. La barra o il panetto è stato rinchiuso in un
container anonimo, ma ben schedato, e caricato nella stiva di una nave del
valore di milioni di dollari. Ha atteso che la pancia della nave fosse gonfia e
senza più spazi liberi e poi si è mosso, insieme a chissà quali altri oggetti o
materie prime, dalle acque cinesi che stanno di fronte al Giappone per
scivolare rapido e stabile lungo il mari una volta infestati dai pirati della
Malesia, noncurante di tempeste o bonacce, ormai armi spuntate della natura
contro di loro. Ha vista l’alba al largo di Macao, ha scorto di lontano, nel
tramonto le Maldive e le Laccadive, immagini fissate sulle retine di quei
marinai che in quel momento stavono fermi a fumare appoggiati al corrimano, e
che non hanno mostrato nei confronti di questo panorama lo stesso trasporto che
molte coppie avrebbero se il loro sogno di trascorrere anche una sola settimana
in questi paradisi turistici diventasse finalmente realtà. Ha sobbalzato,
forse, quando la nave si è infilata nel canale di Suez, varcando senza che
nessuno ne provasse profonda consapevolezza, il limite invisibile che separa
l’Africa dall’Europa. Quando il bastimento ha infine attraccato a Livorno,
nessuno dei controllori toscani si è minimamente soffermato a chiedere ai
naviganti che cosa avessero provato nel percorrere una rotta che li aveva messi
in collegamento con un mondo che non conoscevano o come avevano mangiato la
sera prima o se l’alba nell’Oceano indiano avesse scosso le loro anime oppure
li avesse lasciati indifferenti.
Nulla di questo. E poi il panetto viene caricato sul vagone del treno e
attraverso poi un furgoncino, presumibilmente, giunge alla foce del nostro
canale produttivo, poco lontano da Piombino, presso acque calme e torbide.
Qui il panetto deve essere di nuovo fuso per poter prendere la forma
dello stampo, realizzato secondo il disegno dei nostri tecnici. Solo allora la
massa perde la sua ordinata informità per diventare viva, per assumere i tratti
di questo capolavoro. Ma è ancora inutilizzabile finché, amorevolmente trasportato
da un camion, non ha percorso i trecento chilometri che separano la nostra
fabbrica siderurgica dal capannone dell’assemblaggio. Qui mani guantate
estraggono dagli scatoloni i corpi uno ad uno, con delicatezza. Li depongono
sui banconi dove le nostre addette li chiamano al loro compito. Si inserisce la
valvola, che ha seguito un cammino diverso, è stata lentamente composta
partendo da pezzi apparentemente sgraziati e tronchi, fino a diventare un
gioiello di tecnologia, un dosatore capace di miscelare l’acqua con saggezza
per offrire una miscela rassicurante. Le vedo le signore che accarezzano la
loro creazione quasi con affetto prima di incelofanarla e riporla nella scatola
che viene conservata nel magazzino. Riposano lì poco prima che gli esperti di
logistica li prelevino per affidarli agli spedizionieri che li conducono al
luogo dove verranno trovati da chi li cerca con tanta passione. Solo alla fine,
montati ad arte sul tubo, prendono vera vita e con gioia si lasciano guidare
per donare l’acqua. E chi sotto il getto mite si lava le mani, quasi ignorando
il prodigio che glielo consente, non sa nulla di tutto questo viaggio. Non
prova neppure a pensare che quell’aggeggio così elegante è stato un tempo sasso
e polvere. Non eleva nemmeno un pensiero agli operai sudati che spendono le
loro vite in paesi lontani, in grotte di cemento, per trasformare la terra. Non
prova un senso di gratitudine perché quel gesto così banale e stanco che compie
prima di sedersi a tavola, ha richiesto fatica e dolore, cura e delicatezza,
per condurre a lui, da chissà quale cima di montagna solitaria e cruda, quel
rivolo d’acqua che il nostro rubinetto gli guida con amore sulle mani sporche,
che chissà che cosa hanno toccato prima di sporgersi sul lavandino. Vede.
Abbiamo perso la coscienza di questo. La cosa mi fa un po’ soffrire. Noi invece
ce l’abbiamo ben presente. E’ la nostra vita. E’ un po’ come chiamare fuori
dalla pietra il Mosé”.
Questa è passione, pensai. Che
cosa posso fare per lui.