Capitolo ottavo
“Costa troppo”.
Era scontato. Che avrebbe comunque
detto così. Fa parte del ruolo. E di una certa ignoranza molto diffusa. Non
dico che tutti gli imprenditori italiani siano ignoranti: ci mancherebbe altro!
Ci sono molti veri geni tra di loro: di quella genialità che sovrasta la logica
perché scardina l’analisi, la razionalità per esaltare l’intuito. Come se fosse
possibile aggrapparsi ad un raggio di sole per inseguirne la curva e vedere con
occhi diversi tutto il creato fino ad inventare qualche cosa di nuovo.
Chapeau! Li invidio di quella
invidia bianca, sana, depurata dalla rabbia.
C’è però che poi nel momento in
cui scendono da quel raggio di sole, si calano in testa il cappello del duro,
come se ci dovesse essere un Humphrey Bogart al comando di ogni azienda. E
devono sempre far vedere chi comanda. Non solo: ma ritengono spesso che l’esercizio
di questa facoltà si attui in modo specifico nella gestione del denaro. Ecco
perché qualunque proposta costa sempre troppo.
Non mi ha lasciato quasi neanche
sede il Parioletti, ha iniziato a chiedermi “quanto mi prende?”.
Ho risposto da manuale: “Guardi,
l’investimento che le indicherò alla fine è ampiamente recuperato nell’arco dei
primi due mesi, secondo il piano che le vorrei illustrare”.
“Sì, ma quanto mi costa!” ha
insistito.
“Se permette vorrei riservarmi di
svelare l’investimento richiesto dopo averle, brevemente si intende, raccontato
come metterlo a frutto e quanto guadagno può produrre”.
“No. Mi dica prima quanto vuole”.
Lo ha detto sporgendosi in avanti e tirando i lineamenti, come a voler assumere
ancora di più il controllo della situazione. Ricordo che pensai “adesso o si
accende una sigaretta sotto il cappello a falde larghe che estrae con colpo
teatrale da sotto il tavolo, o mi prende a cazzotti”.
“50.000 euro”, ho allora sparato:
a voce alta, senza abbassare lo sguardo. È lì la prima vittoria: se mostri di
avere quasi vergogna per ciò che stai chiedendo sei finito.
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