“Sì, ma.. quindicimila sono
quindicimila!”
“Che cosa la preoccupa dr.
Parioletti?”
“Beh che lei non riesca a farcela,
non dico per demerito suo”.
“Quindi mi sta dicendo che non
intende assumersi il rischio imprenditoriale da solo?”.
“Certo, io sono qui a rischiare e
lei, lei comunque vada porta a casa… non mi pare equo”.
Siamo passati al secondo livello,
quello dell’equità: dopo l’aggressione, la tattica negoziale passa ad usare lo
stato della relazione come strumento persuasivo. Adesso mi sta dicendo che non
sono corretto e buon amico se lascio rischiare solo lui.
“Capisco il suo punto di vista. E’
ragionevole mostrare un intelligente scetticismo, non basato sulla sfiducia, ma
sull’imprevisto. Un altro modo per vedere la situazione può essere questo: se
il raggiungimento insoddisfacente dei risultati non dipende dalla mia
professionalità, che quindi è all’altezza delle sue aspettative, ma da
imprevisti, o da condizioni variabili del mercato, non ritiene equo che il mio
impegno venga comunque riconosciuto? Quando la sua struttura con la massima
efficienza e competenza organizza un evento e questo per ragioni indipendenti
dalla sua volontà, non risulta completamente in linea con le aspettative del
cliente, forse è costretto a ridurre la cifra l’investimento richiesto al
cliente? Sarei sopreso se fosse così”.
“No, ma che c’entra. Il nostro
lavoro…” inizia. Poi si ferma, vede che lo guardo sorridendo. E tenta la terza
carta negoziale.
“Senta. Io voglio lavorare con
lei. Mi venga incontro. Posso garantirle che questo è il primo pezzo di un
progetto molto più ampio. Dimostri di tenere al futuro e mi faccia una
riduzione e vedrà che lavoreremo a lungo insieme”.
Terza fase: sei il mio eroe, fai
il bravo e non ti lascerò più.
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