lunedì 7 novembre 2011

La cananea insegna

Prossimo post Giovedì 10 novembre



Capitolo quinto

Arrivai in ufficio intorno all’ora di pranzo. Che è un’ora affascinante per segnare un nuovo corso. Ci si può giocare. 

Mezzogiorno di tuono. Meglio: mezzogiorno di poco. 

Un poco ancora per trovare la strada giusta. Salutai Irene; Simona e Marina che attendevano con ansia il mio resoconto, avendo chiaro anche loro, Irene in modo più acuto, che il futuro della nostra compagnia era in buona parte connesso al successo dell’incontro della mattina.

Mi gustai il silenzio che precedette la mia affermazione di ottimismo. Perché in quei silenzi c’è spesso il senso delle cose. Non dico della vita, perché sarei più imputabile di presunzione che di ottimismo, e passerei per un millantatore invece che per un filosofo facilone. Ma il senso delle cose sì, perché dilatare quell’istante nel quale le speranze possono implodere generando disperazione o, scoppiettando, trasmutarsi in certezze, quell’istante merita di essere onorato e soppesato. 

E’ intriso di una forza speciale che dovrebbe condurci nelle profondità di noi stessi, per scoprire fino a dove realmente arriva la nostra fiducia in Dio, o comunque nel fatto che esista un senso, un destino positivo, capace di guidare i fatti così da farci beneficiare comunque, qualunque cosa capiti. 

In effetti, se la nostra fede fosse al di sopra del minimo sindacale, di quella misura scarsa e limitata che ci consente solo di affermare una blanda categoria dello spirito; se la nostra fede fosse davvero salda e cieca, sovra razionale, quindi non emotiva ed effimera, ma incrollabile perché costruita sopra e oltre la ragione; se la nostra fede fosse come quella della cananea più che quella di Giobbe, allora realmente sapremmo cogliere in ogni situazione il bene che ci sta nascosto, magari in profondità come un tesoro su un isola caraibica. 

E quindi la nostra domanda non sarebbe più “perché a me?”, interrogativo che lungi da chiedere una risposta, afferma una minaccia, ma “che cosa ci devo leggere?”. 

Per fortuna Dio, o chi per esso, conoscendo le nostre debolezze agisce in due modi: spesso ci mette in condizioni di ringraziare, lasciandoci accedere a sentiero apparentemente più desiderabile del bivio; altrimenti ci fornisce, direttamente o per interposta persona, suggerimenti su come leggere il messaggio cifrato.

Gustai il silenzio e poi mi espressi così: “direi che abbiamo ottime possibilità. Ho fatto una buona impressione. Devo preparare una offerta per lunedì. Ce la possiamo fare”.

Ricevetti in cambio rumori e parole di soddisfazione e di elogio, che sapevo di meritare e che mi fecero piacere. Anche i capi vanno elogiati qualche volta. Anche i capi hanno bisogno di sentirsi riconoscere il merito. Di aver fatto qualche cosa bene. Io ne ho bisogno. Stop.

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