lunedì 3 ottobre 2011

Nasce il disagio - quindicesima puntata

Prossimo post Mercoledì 5 ottobre




Man mano che trascorreva il tempo aumentava in me una sorta di disagio, di insofferenza: si trattava della solita invincibile ansia che mi tormenta da sempre. Quel senso di incompiutezza, di mancato controllo: insomma la vocina che insinua che potresti fare di più, meglio, che stai sbagliando priorità, che dovresti… potresti… Non che non sia importante ed utile chiedersi sempre se stiamo perdendo tempo o se stiamo lavorando al meglio delle nostre possibilità, che è cosa doverosa e salutare. Gli è che l’eccesso stroppia. E spesso è quell’inconscio cattivo in noi, la voce del nemico, che si alza lieve e ronzante, come una vuvuzela dell’anima, a solleticare turbamenti, angosce sommesse, giusto per togliere la pace e guastare le relazioni.
Perché quando sei preso da quell’avviluppante senso di spreco, come se un ladro ti rubasse il tempo avvelenando ogni cosa così da sciuparti i minuti, allora ti vien dentro la voglia di rivalsa e finisci per prendertela con chi ti circonda, senza un particolare motivo se non quello di buttar fuori la pressione, come una valvola di massima che sfoga all’aria.
Quando sentii montare dentro di me questo sentimento, decisi di smettere e di chiudere lì la giornata. In ufficio era rimasta solo Marina, ancora alle prese con alcuni messaggi per i clienti. La invitai a rimandare all’indomani il lavoro e a tornare a casa. Dovetti insistere. Poi, come soleva proporre e fare Paulista, chiusi il gas e andai via.
Scese improvvisa la sera. In quei giorni in cui il sole non sa ancora se si è riappropriato del tempo o se l’ora è ancora affidata al legale, il tramonto sembra più rapido e secco. I colori è vero sono ancora pastello, o già pastello, e questo stinge i pensieri in una malinconia che intenerisce il cuore non solo ai naviganti. O forse siamo tutti naviganti, surfiamo sulla vita per restare a galla.
Prima che il tramonto spegnesse ad uno ad uno i contorni, sedemmo a cena ancora una volta sul balcone. Sono piacevoli queste cene di famiglia. La nostra è numerosa. Con giudizio.  Siamo in sei.  Quella sera c’eravamo tutti. Una felice coincidenza. Francesco, il più piccolo, stava in silenzio, concentrato sulle vicende dei fratelli, nell’attesa di poter intervenire per mettersi in evidenza. Luca, il maggiore, guardava svogliato il piatto, desiderando probabilmente essere altrove. Eleonora agitava la tavola spostando freneticamente bottiglie, bicchieri e ciotole, seguendo un ordine che mi era sconosciuto.


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