Man mano che trascorreva il tempo aumentava in me una sorta
di disagio, di insofferenza: si trattava della solita invincibile ansia che mi
tormenta da sempre. Quel senso di incompiutezza, di mancato controllo: insomma
la vocina che insinua che potresti fare di più, meglio, che stai sbagliando
priorità, che dovresti… potresti… Non che non sia importante ed utile chiedersi
sempre se stiamo perdendo tempo o se stiamo lavorando al meglio delle nostre
possibilità, che è cosa doverosa e salutare. Gli è che l’eccesso stroppia. E
spesso è quell’inconscio cattivo in noi, la voce del nemico, che si alza lieve
e ronzante, come una vuvuzela dell’anima, a solleticare turbamenti, angosce
sommesse, giusto per togliere la pace e guastare le relazioni.
Perché quando sei preso da quell’avviluppante senso di
spreco, come se un ladro ti rubasse il tempo avvelenando ogni cosa così da
sciuparti i minuti, allora ti vien dentro la voglia di rivalsa e finisci per
prendertela con chi ti circonda, senza un particolare motivo se non quello di
buttar fuori la pressione, come una valvola di massima che sfoga all’aria.
Quando sentii montare dentro di me questo sentimento, decisi
di smettere e di chiudere lì la giornata. In ufficio era rimasta solo Marina,
ancora alle prese con alcuni messaggi per i clienti. La invitai a rimandare
all’indomani il lavoro e a tornare a casa. Dovetti insistere. Poi, come soleva
proporre e fare Paulista, chiusi il gas e andai via.
Scese improvvisa la sera. In quei giorni in cui il sole non
sa ancora se si è riappropriato del tempo o se l’ora è ancora affidata al
legale, il tramonto sembra più rapido e secco. I colori è vero sono ancora
pastello, o già pastello, e questo stinge i pensieri in una malinconia che
intenerisce il cuore non solo ai naviganti. O forse siamo tutti naviganti,
surfiamo sulla vita per restare a galla.
Prima che il tramonto spegnesse ad uno ad uno i contorni,
sedemmo a cena ancora una volta sul balcone. Sono piacevoli queste cene di
famiglia. La nostra è numerosa. Con giudizio. Siamo in sei.
Quella sera c’eravamo tutti. Una felice coincidenza. Francesco, il più
piccolo, stava in silenzio, concentrato sulle vicende dei fratelli, nell’attesa
di poter intervenire per mettersi in evidenza. Luca, il maggiore, guardava
svogliato il piatto, desiderando probabilmente essere altrove. Eleonora agitava
la tavola spostando freneticamente bottiglie, bicchieri e ciotole, seguendo un
ordine che mi era sconosciuto.
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