Capitolo terzo
La distanza tra il mio ufficio e casa mia è sempre stata
molto più significativa del tempo che impiegavo a coprirla. Perché quel nido
nel traffico ha rappresentato per anni un rifugio solitario dalle tempeste
della quotidianità. Almeno finché le pareti della tana non sono state
sbriciolate dal cellulare, che ha reso impossibile isolarsi completamente. No,
non è vero. Basta un gesto brusco che faccia scattare l’interruttore. Il punto
è che richiede molta più volontà che energia. E non sempre la si trova. Ho
percorso milioni di volte la città per andare nelle varie sedi dove ho abitato.
Professionalmente si intende. E quegli spazi, dentro una macchina compressa nel
traffico, assediato dall’impazienza e dal livore –qualcuno renderà conto a Dio
per il tasso dell’odio scatenato dall’uso esagerato delle automobili: altro che
inquinamento da particelle sottili- ammorbidito dalla pipa, sono spesso stati
tutti miei, per ritrovare con l’aiuto di una musica sottile e lieve un
equilibrio pacato e acuto che potevo essere sul punto di smarrire.
Ora che questa distanza non supera il metro, da quando
l’ufficio occupa l’appartamento accanto al mio sul pianerottolo, comunque ha
assunto un significato importate: è la misura della libertà e il dinamometro
che valuta la capacità di rispettare la mia famiglia.
Percorsi i due passi che separano le due porte, quella
mattina di ottobre, ricordo: il sole scioglieva caldo i primi aliti freschi
dell’autunno, prima che Irene fosse arrivata, mi concentrai sull’incontro che
avrei avuto la mattina seguente con Parioletti.
Mi ha sempre stupito questa capacità delle stagioni di
annunciarsi sobrie e timorose, come a confonderti e a lasciarti l’inganno che
l’una non si scioglierà mai nell’altra, che non osa impadronirsi di cose e
cielo. E così quella mattina mi parlava di un tepore lieve e lieto, e mi
prospettava futuri non dico radiosi, ma per lo meno aurorali, sebbene la loro
luminosità avrebbe potuto facilmente confondersi con tonalità crepuscolari
dalle quali speravo di tenermi lontano ancora per un bel po’.
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