Chissà se hanno fatto in tempo a raccogliere un po’ di
informazioni su di lui e la sua azienda? Chissà che cosa gli avrà detto il
Magnaga (chissà perché continuo a mettere gli articoli ai nomi?) Devo
prepararmi per bene. E preparare una grande apertura, perché lì c’è il segreto
del successo. Specie per un consulente direzionale che cerca di vendere le sue
competenze a un cliente che, per comperarle, deve innanzitutto credere di avere
bisogno di qualcuno che gli spieghi dove ha sbagliato. Se ci pensi, è una
follia. Il contrario di quello che insegna il mondo. Perché lui deve avere
sufficiente umiltà per capire che c’è qualcuno che può insegnargli qualche
cosa. E io avere sufficiente delicatezza per non fargli credere che ha
sbagliato tutto. Cosa che spesso accade. No. Non sto dicendo che la classe
imprenditoriale italiana sbaglia. Non in quel senso per lo meno. Ovvio che
errori ne commetta. Sarei stupito del contrario. È che spesso non li riconosce:
il padrone è convinto comunque di avere ragione.
E non dovrei più stupirmi dell’arroganza immersa nella
presunzione, che ogni volta trovo: invece ne resto addolorato, come ferito.
Perché confrontando quei modi rozzi e bruschi, un attentato alla ragione, con il mio modo di affrontare la
mia professione di consulente , ci vedo la ragione della mia sconfitta, del mio
perenne inseguire un sogno che si sposta sempre più in là, della mia incapacità
di affermare nei numeri quella supposta autorevolezza che cola dalle parole di
chi mi conosce e non mi compera. Al punto che mi chiedo se non ci sia un nesso
perverso e incidibile tra orgoglio e successo, come se ciò che contasse non
fossero i risultati, ma l’arroganza con la quale si millantano. Ne resto sempre
turbato perché nel mio intimo sono convinto della forza dell’umiltà, che mi
sembra di vedere invece fallire nella durezza della realtà, cruda, abbacinante,
imbiancata come un muro secco sotto il sole d’estate, quel famoso muro che reca
in cima cocci aguzzi di bottiglia, lungo il quale la mia vita sembra
prosciugarsi. Mi sgomentano, pur facendomi compassione, questi condottieri che
massacrano con eguale banalità persone ed idee, che pretendono senza nulla dare
in cambio, che richiedono strategie che loro non sono in grado nemmeno di
sfiorare con il pensiero, che non riescono a vedere più in là del loro
portafoglio, pieno oggi e domani si vedrà, perché questa grettezza paga, restituisce,
appaga. E le loro frasi, ripiene
parimenti di vocaboli stranieri dei quali si è perso il senso e l’origine, come
di termini sboccati e volgari, scheggiati i primi unti i secondi, finiscono per
sedimentarsi nel mio intimo con la violenza di una frana che precipita
nell’invaso e lo fa tracimare sommergendo ogni cosa, dilavando tutto,
confondendo. Eppure li vedo, seduti al vertice, brandire la loro arroganza come
scettro, marchio del possesso e del successo. Non vorrei confondermi con queste
figurine da album, e mi trovo ad invidiarle, provando vergogna per questa
invidia, provando terrore per il futuro che si arrotola come nuvole di
tempesta, un futuro che è sempre più breve, ad ogni istante che passa, e che
ormai non mi lascia più spazi, come il mazzo di un solitario, che non vuol tornare, che si assottiglia di
più ad ogni nuova carta che sei costretto a scartare perché non trova
collocazione nel disegno steso sul tavolo. Vorrei piangere qualche volta, nell’inevitabile
confronto, e mi trovo invece a sorridere, perché si deve pur campare, perché
tengo famiglia, moglie e quattro figli, che poi ti dicono dovevi pensarci
prima, ma prima quando? Quando la vita sembra spalancarsi rosa come una aurora?
E ti tradisce, vigliacca lei, non perché non te lo aspetti, ma penseresti
sempre che viene dopo il momento difficile, dopo quando sei pronto per
affrontarlo, e invece ti piomba addosso troppo presto, non senza cattiveria,
anche se mitigata dalla durezza dell’insegnamento, perché è proprio nelle
difficoltà che impari e in fretta. Sarà la stanchezza, sarà che la somma è
prossima all’ingorgo, ma questa durezza faccio fatica a smaltirla.
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