Quindi, insieme ad Irene cercai di assemblare quella
traccia, ritagliata sulle possibili aspettative del Parioletti, che mi avrebbe
permesso di rispondere alle sei domande inespresse del cliente. Già perché ogni
cliente, sia che ti abbia chiamato sia che sia stato in qualche modo convinto
dalla tua capacità a riceverti, nel momento in cui ti vede si pone
inevitabilmente sei domande alle quali si attende risposta nei primi momenti
dell’incontro.
Perché, comunque sia, qualunque sia la situazione, noi
sottoponiamo ad un giudizio inappellabile la persona che incontriamo, anche se
talvolta questo viene nascosto al nostro conscio da una educazione morbida e
suntuosa. La quale ci fa affermare che dobbiamo sempre cercare di capire gli
altri e dare loro una seconda possibilità. Il che, tra le righe, già esprime la
valutazione che la prima possibilità è stata sprecata.
Non voglio certo negare che lo sforzo di entrare in empatia
con l’interlocutore non sia spesso premiato. Certamente è importante, ed utile,
sporgersi verso l’altro, sospendere il giudizio e mettersi realmente
all’ascolto. (nota: sono perfettamente consapevole di avere messo in fila
nell’ultima frase più luoghi comuni di quanto Moratti non abbia assunto
allenatori all’Inter. Conto sulla capacità di infrangere la barriera della
banalità per addentrarsi nelle caverne del significato).
Importante ed utile sì, ma non deve diventare un alibi.
Perché è questo che spesso capita. Se una relazione non funziona si tende ad
attribuirne la causa all’insensibilità dell’altro, spesso adducendo come
conferma il turbamento della propria sensibilità, che si ritiene accesa e
inesauribile. Di fatto si rivela così solo la presunzione di chi declina la
delicata emotività esposta all’ambiente solo alla prima persona, esponendo alla
condanna degli altri un egoismo aggravato dal fatto di essere ignoto all’ego
stesso. Egoista ignorante.
Per questa ragione chi ha a cuore la costruzione di un amore
–ma sì, chiamiamola così per allinearci a Ivano Fossati- non deve avere paura
di veder “tremare le vene e i polsi” e deve essere in grado di abbandonare i
propri schemi per addentrarsi con coraggio nel territorio dell’interlocutore.
Magistrale la sintesi con cui uno scrittore comasco, morto anni fa, descrisse
l’essenza della comunicazione limitandosi a ribaltare un luogo comune, una di
quelle frasi lise e insipide che si ripetono per riempire i silenzi stirati,
dandole così una forza violenta nuova e squillante: “lo dica pure con parole
mie”. Davvero Pontiggia era letterato capace di spremere le parole per
distillarne il senso celatovi dalla sapienza primitiva.
Ne consegue quindi che diventa irrinunciabile dare risposte
immediate alle sei domande del cliente, così da iniziare quel percorso che,
attraverso l’apertura di un credito di fiducia, potrà condurre al paradiso di
ogni venditore: la tanto agognata, e spesso fraintesa, partnership. Che nel
mondo commerciale di oggi ha assunto il posto di quella che nell’immaginario
medioevale era l’araba fenice: che ci sia ognuno lo dice, dove sia nessun lo
sa.
Ma quali sono queste sei famigerate domande che ogni
cliente, -oso: ogni persona- si
pone nel momento in cui conosce, o è costretto a conoscere, per la prima volta
un nuovo interlocutore?
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