Irene invece sa questionare le mie assunzioni e soprattutto
sa superare quella mia iniziale freddezza, intrisa di superbia, che con
gentilezza compassata le rimanda espressioni di delusione e stupore, mascherando
apparentemente un senso di lesa maestà che lei riesce sia a cogliere sia a
superare irridendola con quel suo sguardo limpido e luminoso che mi ha rivelato
molto di lei nel giorno in cui le proposi di venire a lavorare con me. E’ in
qualche modo per me una sorta di coscienza esterna, con la quale battaglio
sottilmente, e che mostra una pazienza materna nei miei confronti che mi
stupisce ogni giorno di più. E che non so se e come riesco a ricambiare.
In effetti mi chiedo per quale ragione Irene continui a
lavorare con me, cosa che peraltro considero un dono da meritare, e mi sforzo
di non trovare una risposta per paura di capirlo. Mi dico solo che l‘ambiente
famigliare e la flessibilità costituiranno per lei un vantaggio tale da
superare gli altri limiti che una struttura minuscola e sempre vacillante
inevitabilmente trascina.
Irene non è la sola con la quale condivido ufficio e
risultati. Con noi lavorano anche Simona e Marina. La prima è una giovane
fresca di studi (meno di sei mesi), con poche ambizioni, forse meno talenti, e
molta attitudine all’esecuzione, specie quella che richieda più obbedienza che
partecipazione, e soprattutto nessuna creatività. Marina mi aiuta nell’attività
commerciale.
Quella mattina dunque mi rivolsi ad Irene per chiederle aiuto
nella preparazione della presentazione per il Parioletti. Presentazione non è
la parola giusta. Detesto l’occupazione del tempo del cliente con il
dispiegamento di quelle che il venditore pensa siano le sue forze mentre in
realtà non si tratta se non di specchietti e biglie di vetro che nessuno prende
più per ori e gemme preziose. Invece che mettere tutta la propria mercanzia sul
tavolo, cercando di imbonire l’imprenditore con effetti speciali, tipici del
wannamarketing, preferisco una sobria introduzione che punti a conquistarmi il
diritto di procedere nell’indagine, una sorta di abbozzo di fiducia, un credito
ecco, che mi permette di porre quelle domande sagaci e pungenti delle quali c’è
bisogno perché entrambi, cliente e consulente, capiscano veramente quale sia il
problema e si accordino su come risolverlo, sperando che il chi sia io,
ovviamente.
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