lunedì 5 settembre 2011

Irrompe mia moglie - terza puntata

Prossimo post Mercoledì 7 settembre


Dovevo saperne di più di questo Pariolini e della sua azienda. A cominciare dal fatto che si chiamava Parioletti e non Pariolini. Chiamai in ufficio e chiesi a Irene di svolgere una indagine per raccogliere quanto più dati trovasse.  Amo essere preparato quando incontro un potenziale cliente, non è solo una faccenda di professionalità, ma anche di onore, di lealtà. Mi sento veramente coinvolto nelle loro vicende, nelle loro aspettative. Capisco che sia ingenuo, e forse questa è una delle ragioni del mio… stavo per dire insuccesso, ma non è vero. Non è insuccesso il termine corretto. Piuttosto sottovalutazione. Mi presento con un profilo sommesso. Che non vuol dire sottomesso. Ma piuttosto... umile. Low profile dicono. Perché detesto l’immagine del consulente arrogante. Già sono milanese. Figuriamoci. E perché dovrei affrontarti con cipiglio furioso, e sguardo da “ma ha capito chi sono io?”. Eppure questo sembra pagare. Non si spiegherebbe perché mi ascoltano, annuiscono, pensano di fare altro, interpellano altri, che consigliano loro di fare esattamente quello che avevo suggerito io,  lo fanno, me lo dicono, mi dicono “è proprio quello che ci aveva detto lei”, e sorridono. E io non riesco neppure a dir loro in faccia: “ma vai a c….!”.
Era quindi importante che con questo Parioletti mi ponessi fin da subito con il giusto standing: ecco, l’ho fatto. Dovevo dire con la giusta immagine. Ma non è la stessa cosa. Io poi questa cosa qui di proiettare sogni positivi per generare l’atteggiamento corretto non l’ho mai bevuta. O per lo meno, è un po’ come gli oroscopi o certe altre superstizioni: non ci credo. Certo che bisogna avere speranza, e che questa genera pazienza innanzitutto e poi umiltà. Ma guardare fisso davanti a te ripetendo come un idiota “ce la farò, ce la farò”…. non è nelle mie corde.
Eppure, quel giorno, scivolando giù rapidamente verso Bologna, fui come rapito da una sensazione, come un déjà vu futuro. Guardavo il panorama, che è proprio bello anche quando la luce non gli rende merito, e mi sentii rapito da una dolcezza inspiegabile, che inondava il mio animo spalancando porte e botole che avevo ormai sepolto sotto valanghe di calcinacci, difese per impedire che tornassero alla memoria ricordi densi e profondi. Vedevo le nuvole stirate sopra san Petronio, in un cielo teso come un lenzuolo pulito sul letto, e i contorni degli alberi sulle colline, in fila come una cordata alla conquista di una vetta incorrotta.
E in quel momento, come per un segnale misterioso, una forza estranea, vennero fuori tutti insieme e tutti pretendevano udienza. Ne fui turbato, ma in modo sereno e lieve.
Dico questo perché quel momento fu determinante per il mio futuro, per segnare il corso delle vicende che seguirono, in quanto mi fu impossibile disgiungere da Parioletti e la sua azienda, quel sentimento vigoroso e dolce che mi aveva solcato l’animo tessendo un ponte tra passato e futuro. So che è un mio limite quello di non riuscire ad anestetizzare l’anima, eppure è anche una ricchezza.
Fu il trillo del telefono, ancora una volta irruzione delle realtà nel mio mondo di pensiero, a interrompere quel flusso di coscienza. Era mia moglie. 









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