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settembre
Capitolo secondo
Se c’è una cosa che mi affascina delle telefonate di mia
moglie è la loro imprevedibilità: potrebbe liquidare tutto in sei parole oppure
sciogliere in tanti chilometri la nostra voglia di stare in qualche modo
vicini. O ancora di litigare. Già perché il nostro amore è anche abbastanza
rissoso. Senza conseguenze. Abbiamo superato la soglia dei trent’anni di vita
in comune, non dico che questo garantisca
un finale in scioltezza, ma l’abitudine rassicura. Perché l’amore è
fatto anche di banalità, che a vederle bene sono tutt’altro che superficiali,
anzi piuttosto radicate. E la consuetudine le lega in un filo che sembra così
sottile da non poter essere spezzato: vuoi per noia, vuoi per non dover
inventarsi tutto da capo, vuoi perché questo è un modo elegante e umile per
dire che non posso fare a meno di te. Come assuefatto. Così mi sento. E nonostante
ciò litighiamo. Questa volta siamo nella modalità morbidosa. Sono fuori da due
giorni e, mi fa piacere constatarlo anche questa volta, è la nostalgia a
prevalere. Ci raccontiamo. Puntualizza le sfide della giornata. Mi chiede
quando arrivo. Mi dice dei figli. Le parlo di Parioletti. Sorride. La vedo. “Ce
n’è bisogno” aggiunge. “Lo so” puntualizzo. Sono già alla fine dell’Appennino.
Vedo in lontananza Cantagallo. “Un paio d’ore e sono a casa”. “Che cosa vuoi
per cena?”. Non me lo chiede realmente. Non è importante. O invece lo è: ma non
per raccogliere desideri gastronomici. Per mostrare la cura. E’ in queste
piccole cose che mi conferma che mi ama. Nel modo con il quale stira una
camicia, la domenica mentre io guardo le partite in televisione e lei alle mie
spalle, per farmi compagnia, io che forse in quel momento non la vorrei
proprio, stira in silenzio, o quasi, parlando sempre nei momenti meno propizi
-ma c’è forse un momento propizio per un uomo che guarda la televisione?- vedo
la pazienza che ha con me. E mentre io scivolo veloce verso il nodo che tiene
attaccata l’Italia, trattenendo le due coste grazie al nastro autostradale che
proprio qui, appena sopra Bologna si avviluppa, o si dipana a seconda di come
lo guardi, mentre rallento per evitare la fotografia sgradita del dispositivo
di controllo velocità, nascosto proprio sotto il ponte, lei mi saluta.
In medias res. Torniamo al Parioletti
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