La strada sfilava monotona, scendeva la sera, senza fretta e
senza rancore. Quell’ora che, se la guardi senza proteggerti, ti si infila nel
cuore e lo sbreccia. E io, che ascoltavo per errore un jazz pacato e ondoso,
come un tramonto in mezzo al mare, non feci in tempo ad alzare le barriere.
Così la nostalgia si insinuò rapida e iniziò a spingere. E d’un tratto esplose.
Lasciandomi a raccattare i ritagli della mia vita.
Non è mai il momento di fare bilanci, semmai esami, poiché i
primi incatenano al passato, i secondi invece sono la porta del futuro. Il
confine che li separa è assai trasparente e non è facile capire da quale lato
ti trovi. Io guardai e rimasi intrappolato. E ciò che vidi mi spaventò perché
assomigliava molto ad un fallimento generale. Ne rimasi confuso. Feci fatica a
non cadere nel gorgo, oscillai sull’orlo del precipizio, trattenendomi al
presente perché in esso vedevo riflesso il futuro. E con un guizzo riuscii a
tirarmi fuori, non senza essere rimasto ferito. E mi ritrovai lì, come un
naufrago che si adagia sulla spiaggia che finalmente ha raggiunto, incapace di
capire se può rallegrasi per lo scampato pericolo, per essersi strappato ai
flutti, o se deve iniziare a preoccuparsi per ciò che troverà nell’ignota terra
che si spalanca dinnanzi a lui.
Questa terra per me era una speranza di lavoro. Non potevo
perderla. Dovevo combattere.
Quando finalmente aprii la porta di casa, e fui accolto
dall’affettuosa indifferenza della mia famiglia, avevo chiaramente in testa il
piano che avrei seguito per conquistare Parioletti.
Terminai di studiare con attenzione il mio prossimo
potenziale cliente verso l’ora di pranzo. Nel frattempo avevo consultato
compulsivamente la posta elettronica almeno dieci volte. L’ultima trovai una
sorpresa. Un cliente che avevo contattato tempo prima mi proponeva una data per
incontrarlo. Lunedì mattina. Una settimana decisamente fortunata.
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